di Mario Ciaccia
MOTO DA DONNA A pensarci bene, ha senso parlare di “moto da donna”? È ampiamente dimostrato che una donna esperta può guidare le stesse moto degli uomini. Ma, in rapporto a questi, le donne che hanno tale dimestichezza sono pochissime. Non è una questione fisica, ma un retaggio culturale che ha portato a questa forbice tra i due sessi. Già a dieci anni i ragazzini vanno a cacciarsi nei guai con le biciclette cercando cave o giardini dove fare acrobazie, mentre le bambine fanno altro. La moderna motociclista è, in genere, una trentenne con pochissima esperienza di due ruote, che non siano quelle della bicicletta, usata solo per andare a scuola. Anche se le ultime generazioni si stanno abituando all’uso dello scooter fin dalla giovane età. Aggiungendo che la maggior parte delle ragazze hanno fisici minuti e leggeri, si può capire perché esistano motociclette più adatte di altre, quantomeno per iniziare.
Sono quelle con la sella bassa, perché toccare terra con entrambe le piante dei piedi infonde sicurezza e permette di reggere meglio la moto; e con pochi CV, perché abbiamo perso il senso della misura e non ci rendiamo conto che più una moto è potente e più si rivelerà faticosa e stressante nell’uso quotidiano. Tenete conto che, se negli anni Settanta era normale, per un pilota esperto, affrontare viaggi a largo raggio con 30 CV, oggi esistono principianti convinti che per andare sul lungolago ce ne vogliano non meno di 100. E molte ragazze scelgono moto potenti per apparire più esperte e aggressive, anche se sarebbero più felici con metà dei CV. Ma non va neanche dimenticato che, a parità di potenza, spesso è il motore di cubatura maggiore il più facile e piacevole da guidare. Poi c’è un altro elemento da considerare quando si parla di motociclismo femminile: proprio per la minore “scafatezza”, rispetto agli uomini, non sono poche coloro che non vogliono rischiare nel traffico, usando la moto solo in pista o in fuoristrada, ambiti considerati da sempre feudi prettamente maschili.
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