Invece la moto di Sykes è oltre. Oltre la capacità di un signor nessuno. Oltre la possibilità di godere della sua velocità. In questo senso è molto affascinante; c'è un che di deludente (non è la parola giusta, ma ha a che fare con il vedere ridimensionato un sogno) nel salire su una SBK, anche se EVO, e nel non farsela addosso. Elegantemente parlando, si intende. Nessun problema che questo accada, con Lei. La maggior parte della difficoltà nel guidarla gira attorno al motore - in particolare, ai circa 250 CV del motore, per essere precisi. È vero che l'erogazione, gestita elettronicamente con il funzionamento a due o a quattro cilindri in base all'apertura del gas, è gestibile. Non è che sei su una bestia impazzita che appena tocchi il gas ruggisce. Se vuoi, hai un motore molto dolce. Il problema è che per andare forte, o per cercare di farlo, quel gas lo devi girare per bene… Insomma, va bene la dolcezza, ma qui mica si è a un concorso di gala. E quando acceleri, il mondo esplode attorno a te. Ti ritrovi tra le gambe un cavallo imbizzarrito che punta la curva successiva scuotendosi e sollevandosi su una ruota sola. E che in poco spazio raggiunge delle velocità che non sei preparato a gestire. Oltretutto, la ciclistica non ti dà una grossa mano, perché è calibrata attorno a questo portento; anche lei per funzionare ha bisogno di una decisione fuori dal comune. Freni che paiono non funzionare finché non li strizzi, per esempio. Ma soprattutto, uno strano modo di affrontare le curve. Pare che voglia sempre allargare, che non “chiuda” le traiettorie. “Come mai?” ci chiediamo. E alla fine del giro giostra, il capotecnico di Sykes, ce lo dice, come mai. Ma forse non avremmo voluto saperlo. “Sai”, spiega, “lui è uno che spigola molto. Si ferma a centra curva e poi gira la moto col gas, facendo derapare il posteriore”. Ah, ecco.