di Mario Ciaccia - 11 December 2023

La storia delle Yamaha Ténéré, dalla XT600Z alla T7

Compie 40 anni uno dei più grandi miti delle moto da fuoristrada che ha avuto un grande successo sin dal suo primo modello del 1983, quando il deserto che le ha dato il nome è entrato nella storia della Dakar

Auguri Tenerona!

Ci sono dei misteri, nel ricostruire la storia della Yamaha Ténéré. E siccome è passato tanto tempo, è difficile avere delle risposte, anche sfogliando i numeri di Motociclismo di quegli anni. La mitica XT600Z con il serbatoione a palla da 30 litri è stata presentata al Salone di Parigi nell’ottobre del 1982, 41 anni fa. Motociclismo, sul fascicolo di novembre di quell’anno, fece un lunghissimo reportage sul Salone di Colonia, dove Honda e Yamaha avevano presentato solo moto da strada. Del Salone di Parigi Motociclismo parlò sul numero di dicembre ’82, citando soltanto le novità Honda: robe grosse come la XL500R Paris-Dakar, la XL600R e la XLV750R. Nessun accenno alla Yamaha Ténéré. Di questa parlò sul numero di febbraio 1983, con due pagine in cui si leggeva che il serbatoio teneva 22 litri e che si chiamava così “dal nome della parte più arida e desolata del deserto algerino, che i concorrenti della Parigi-Dakar attraversano ogni anno”. In realtà, il Ténéré non si trova in Algeria, ma al centro del Niger, a est di Agadez e la Dakar, fino ad allora, non l’aveva neanche sfiorato. La prima volta che ci s’è avventurata è stato proprio nel gennaio del 1983. A quella edizione Yamaha France partecipò con una versione corsaiola della XTZ che riportava già la scritta “Ténéré” sul serbatoio. C’era anche la Yamaha Belgarda, al debutto, ma i suoi tre piloti (tutti di Parma) avevano le XT550. Una di loro arrivò in fondo: il primo italiano a farcela, tra due e quattro ruote. Si chiamava Andrea Balestrieri. La prima volta del Ténéré verrà ricordata per sempre per la tempesta di sabbia che durò tre giorni. 
La XT600Z arrivò dai concessionari nel maggio del 1983. Marco Riccardi la testò per Motociclismo in giugno, facendo il suo percorso di prova per le dual sport, in Lombardia: traversata in sterrato dei Piani di Bobbio, salita al San Marco su asfalto, discesa su Morbegno in sterrato, ritorno su asfalto via Valtellina, Lago di Como e superstrada Nuova Vallassina. La prova uscì a settembre 1983. Lo scorso settembre Yamaha Italia ha organizzato a Bobbio (PC) una festa per celebrare il 40° anniversario della Ténéré. Si è trattato di un evento interessantissimo, con la presenza di personaggi mitologici (come il già citato Balestrieri) e di moto che hanno creato scandalo, come la FZT900 a 4 cilindri con cui Serge Bacou corse la Dakar 1987. Certo, oggi siamo abituati alla Multistrada V4, ma a quei tempi un motore così frazionato non s’era mai visto, in fuoristrada.

Arriva l'avviamento elettrico, ma si perde fascino

Non è certo un mistero, al contrario, il motivo per cui la prima serie di questa mitica moto era una monocilindrica da meno di 40 CV alla ruota e pesante poco più di 140 kg a secco, mentre la sua erede, oggi, ha due cilindri, 30 CV in più e un peso di poco inferiore ai 200 kg. Si potrebbe dire che non c’entri nulla con la progenitrice. Eppure è il frutto di una continua evoluzione, oseremmo dire una sfumatura dovuta al fatto che queste moto da entro-fuoristrada, o dual sport, o enduro stradali, o on-off o come diavolo vogliamo chiamarle, sono state sempre viste come un bicchiere mezzo pieno… o mezzo vuoto. Siamo negli anni settanta e negli Stati Uniti si sta diffondendo timidamente un filone di moto ibride, metà stradali e metà fuoristrada. Yamaha ne fa parte, con la famiglia DT a due tempi, la cui ammiraglia è la 400. Coloro che in queste moto vedono il bicchiere mezzo vuoto – per cui non ha senso avere un’unica moto che faccia entrambe le cose, perché le fa male – sono nettamente superiori a quelli dell’altra fazione che, nelle enduro stradali, vede strumenti meravigliosi, che permettono di realizzare viaggi lunghissimi, in terre lontane, affrontando l’asfalto e gli sterrati senza problemi. Ma poi arrivano gli anni 80, quelli in cui in tutto il Mondo esplode il gusto per l’avventura. I viaggi africani diventano una moda e la Paris-Dakar una religione: tutti vogliono moto in grado di poterla correre fino in fondo, anche se poi magari la usano soltanto in città. Yamaha, che nel ’76 ha presentato l’XT500 a quattro tempi, di colpo vede le vendite di questa schizzare alle stelle. La cosa strana della nuova moda, in cui sono entrati un po’ tutti i costruttori, è che le prime Yamaha XT, Honda XL, Suzuki DR, tutte a 4 tempi, avevano serbatoi piccoli, da dieci litri. Ma come, siete ispirate ai raid africani e poi non riuscite a fare più di 200 km con un pieno? La lacuna è stata colmata, come già detto, dalla Honda XL500R Paris-Dakar (venti litri) e dalla Yamaha XT600Z Ténéré (trenta litri). Ma la Honda era una morta che cammina: al suo fianco, a Parigi, c’era la sua erede, la XL600R, con motore più moderno e serbatoio piccolo. Era evidente che ne sarebbe uscita la versione col serbatoione, prima o poi. Povera 500.
La Yamaha invece divenne un mezzo di culto e lo è ancora oggi. E siccome all’epoca chi scrive era già appassionato, ricorda bene la gente che arrivava al centralissimo bar Magenta di Milano con quella moto. Il momento dell’avviamento a pedale per tornare a casa, davanti alla folla di fighetti e figone, era il massimo dell’edonismo cui si potesse arrivare negli anni 80. Come tutte le mode, anche questa era destinata a finire e lo fece in fretta, perché se sei un viaggiatore che vuole attraversare il Mondo in sterrato la Ténéré è perfetta, ma se vuoi fare il figo all’aperitivo arriva un momento in cui l’avviamento a pedale, la sella alta, il serbatoio largo tra le cosce, i trasferimenti di carico in frenata e le gomme tassellate ti appaiono per ciò che veramente sono: assolutamente inutili, in centro a Milano. E sull’asfalto in generale. Quando succede questo, i costruttori reagiscono rendendo le moto meno scomode e più pratiche. Così, la seconda serie della XT-Z, presentata nel 1984, aveva l’avviamento elettrico in aggiunta al kick e sette litri in meno nel serbatoio, per avere le gambe meno divaricate, in più pesava quasi 18 kg in più. Risultato: una bella fetta di fascino in meno, anche se il filtro era stato spostato da sotto la sella a dietro il cannotto di sterzo. La storia della Ténéré è la stessa delle enduro stradali degli anni 80: più venivano modificate per renderle comode e meno sexy apparivano agli occhi del pubblico. La cosa però è avvenuta gradualmente, non di colpo, per cui la saga della Ténéré è andata avanti ancora per diversi anni. Nel 1988 è stata presentata la terza serie, dotata di carena, doppio faro anteriore, fianchetti allargati a imitare i serbatoi posteriori, freno a disco posteriore, cerchio posteriore da 17”, avviamento solo elettrico e migliorie al motore e alla centralina, perché la seconda serie trafilava olio e si surriscaldava. Peso: altri 10 kg in più. La quarta serie, quella del 1991, ha segnato il definitivo crollo dell’appeal, perché sembrava snaturare i concetti originali di semplicità, personalità estetica e comportamento in fuoristrada. Raffreddamento ad acqua, 5 valvole, sospensioni con meno corsa, estetica anonima, serbatoio da 20 litri e un peso a secco verificato di 194 kg… Non era più lei. In realtà era una gran passista, molto robusta, capace di andare ancora bene in fuoristrada: Belgarda preparò un kit per correrci la Dakar e Fabrizio Meoni, al debutto, con quella moto arrivò 12° assoluto.

La Super Ténéré

Appariva però chiaro che, mentre le monocilindriche imborghesite erano sempre più in disgrazia, al contrario le bicilindriche piacevano tantissimo. Appesantirle per renderle comode aveva senso, perché i loro motori generosi le rendevano molto piacevoli da guidare su asfalto. Così Yamaha, nel 1989, decise di entrare nel filone delle maxienduro bicilindriche, inaugurato da BMW nel 1980 e interpretato anche da Honda e Cagiva. La Super Ténéré 750 ha avuto un grande successo di vendite e pure di agonismo, visto che ha vinto sette Dakar, tra il 1991 e il 1998. Ma negli anni Novanta questa gara era sempre meno popolare, ormai l’ubriacatura per l’avventura era finita, così diverse maxienduro sono uscite di scena, lasciando il posto a derivate prettamente stradali (Yamaha TDM850, Cagiva Grand Canyon, Honda Varadero). Va detto che il terreno d’elezione delle maxi erano i viaggi intercontinentali, che la maggior parte dei motociclisti non era in grado di affrontare per carenza di soldi, tempo e coraggio. In Italia gli sterrati erano tantissimi, ma la gente non si fidava ad affrontarli con moto così pesanti. Le maxienduro sono diventate sempre più grosse e stradali e ogni legame con la Dakar è venuto meno quando questa gara ha imposto un tetto massimo di 450 cc.
Eppure, una quindicina di anni fa si è intuito che intorno alle bicilindriche era possibile fare un bel business proponendo degli itinerari fuoristrada italiani a prova di motona. Chi vi prendeva parte sapeva che stava per affrontare un percorso adatto a moto così grosse. Con Hardalpitour e Transitalia Marathon in testa, sono nate parecchie manifestazioni dedicate, con un pubblico così vasto che ha fatto tornare le maxienduro a forte vocazione fuoristradistica. Yamaha è stata tra le prime a crederci, rifacendo da capo la Ténéré (2007) e la Super Ténéré (2010). La prima ripartiva dalla precedente 660, con 4 valvole al posto di 5, l’iniezione e un’estetica completamente rinnovata, disegnata dal nostro Rodolfo Frascoli. La seconda invece è cresciuta, con un motorone da 1200 cc e un peso oltre i 250 kg. La 660 è stata apprezzata parecchio dai viaggiatori di lungo corso, quelli che amano attraversare le zone più desolate della Terra. Ma poi, dopo una decina d’anni, in Yamaha hanno deciso che la sua evoluzione doveva avere due cilindri, senza però risultare più pesante. Del resto, anche questa 660 sfiorava i 200 kg, per cui da quel punto di vista non sfruttava i vantaggi di leggerezza tipici dei monocilindrici.

L'ultima, la T7 (per gli amici)

La nuova Ténéré 700, T7 per gli amici, dopo essere stata mostrata, più volte, a livello prototipale per la bellezza di due anni è stata presentata in versione definitiva nel 2018 e, rispetto alla 660, pesa uguale, ha 25 CV in più alla ruota, sospensioni migliori e un cambio a 6 marce ben distanziate, con le prime tre molto corte, mentre la 660 ne ha 5, tutte lunghe, lunghissime. Siamo ai giorni nostri e la T7 è una delle moto più vendute, declinata in ben cinque versioni diverse, sostanzialmente per accontentare tutti (ma la Explore Edition, secondo noi, si meriterebbe una sella più comoda e il serbatoio da 23 l delle World Raid e World Rally). Quanti anni ancora andrà avanti questa saga immortale? La prossima tappa potrebbe essere la più volte chiacchierata Super Ténéré 900 a tre cilindri.

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