Sono tante, sono diverse, ma non ci vediamo le moto “sfigate per i vorrei ma non posso delle maxienduro”, bensì il giusto compromesso tra dimensioni contenute e prestazioni decenti. Alcune tra loro si avvicinano ai concetti della moto totale, ma manca sempre qualcosa
di Mario Ciaccia
Volevo quindi parlare delle dodici moto di questo genere che ho provato negli ultimi quattro anni, valutandole sempre pensando a un utilizzo a 360°. Sarà un articolo lunghissimo, contrario a ogni logica del web. A seguire, ecco le dodici moto, in ordine alfabetico.
Come penso si stia già capendo, questo articolo è scritto più dal Mario Ciaccia appassionato che dal redattore che giudica freddamente le moto in prova. Come scrivo da anni, fino alla nausea, il mio genere di motociclismo preferito è quello turistico-esplorativo, tanto su asfalto quanto su sterrato, magari con pernottamenti in tenda.
Non siamo in tanti ad amare questo utilizzo ma, forse, non siamo neanche così pochi dal non avere il diritto di sognare che esca una moto perfetta per noi.
Da sempre, quindi, la mia moto di sogno dev’essere leggera, maneggevole, usabile in città tutti i giorni, comoda e rilassante anche in autostrada, poco costosa da mantenere, capace di trasportare molti bagagli, divertente sui passi asfaltati di montagna e in grado di affrontare un tipo di fuoristrada slegato dalle gare e dalle prove estreme di enduro, ma del genere “voglio andare da A a B, traccio il percorso con Google Earth, non so come siano quelle sterrate ma le voglio superare anche se sono scassatissime, mari di fango, pietraie”. In pratica non sono io che vado a cercare percorsi difficili, sono loro che vengono da me.
Quindi può capitare che io dica agli amici “Andiamo a fare quella sterrata, non ci vado da cinque anni, ma la ricordo facile e scorrevole”, la imbocchiamo e la trovo nelle condizioni della foto sopra. Gli amici mi danno del deficiente, parte la Ciaccia Shituation e, in tutto questo, io mi sono rotto le palle di fare ‘ste strade con le bicilindriche da 200 kg e passa… Per questo la mia moto totale dev’essere leggera, ma non deve farmi soffrire su asfalto. È il classico concetto di “moglie piena e botte ubriaca” che richiede di accettare grossi compromessi e infatti mi sento sempre ripetere “Mario, rassegnati, la moto totale non esiste”. Invece per me potrebbe esistere, anzi, direi che l’ho anche posseduta. In commercio ci sono tanti mezzi che ci arrivano vicino, ma a cui manca sempre qualcosa. Io sono un seguace delle Suzuki DR: ho avuto una DR350S, una DR-Z400S e due DR-Z400E, con le quali ho percorso, finora, 292.000 km facendoci di tutto, comprese tirate autostradali da 1.000 km di fila, quindi di fatto le ho sempre usate come moto totali.
La scelta del serbatoione è avvenuta in vista di viaggi transcontinentali che, ovviamente, non ho mai fatto. Ma tenerlo su ha un effetto placebo, significa “con questa moto potrei farlo, sono pronto”. Un altro grosso pregio, specie rispetto alle moto moderne, è che la mia moto può partire a pedale anche se le stacchi la batteria o se hai bruciato l’alternatore. Ma, in generale, le DR-Z hanno grosse lacune, tipo che dopo i 50.000 km iniziano a bere olio e ad avere problemi di carburazione (quelle con il Keihin) e all’impianto elettrico, che in autostrada non sono né comode né rilassanti (passo il tempo a contare quanti km mancano) e che frenano poco, come tutte le moto vecchie. E poi ormai sono abituato agli impianti frenanti dotati di Abs che, sull’asfalto bagnato, salva veramente la vita e che funziona molto bene anche in fuoristrada, sulle enduro dell’ultima generazione. Insomma, sogno una DR-Z nuova, o un’alternativa moderna che faccia le sue stesse cose.
Ho anche una Yamaha Ténéré 700, con la quale ho percorso 67.000 km: è affidabilissima e mi procura un piacere infinito su qualsiasi percorso non sia troppo impestato. Penso che sia la moto più piacevole che mi sia mai capitato di guidare. Se, invece, in fuoristrada le cose si fanno difficili allora la T7 va bene solo con le gomme specialistiche che però, come normale sulle moto grosse, durano pochissimo e rovinano completamente il piacere di guida su asfalto.
Le Case ci tengono molto a mettere i super uomini in sella alle loro motone (oltre a Tarres con la T7 si vedono video raccapriccianti di Bou con la Honda Africa Twin, di Pedrero con la Harley-Davidson Pan America, di Chris Birch e Marco Job con le KTM, di Antonie Meo con la Ducati DesertX e tanti altri) e questo magari aiuta a venderle, ma la maggior parte di chi usa queste moto in maniera avventurosa non si fa illusioni. Non è comprando una trave che impareremo a fare le ruote di Nadia Comaneci! Come frigno da sempre, l’assurdità del mercato è che quando una Casa decide di fare una “vera” adventure (ovvero con avantreno da 21” e sospensioni oltre i 200 mm di escursione) lo fa quasi sempre impegnandosi su bicilindriche da 200 kg e passa. Il motivo è semplice: sono le moto più piacevoli da usare nei terreni scorrevoli. L’erogazione, la coppia, il comfort in due… le moto dai 650 cc in su sono favolose e più cresce la cubatura e più si gode. Ma sono sempre dei catafalchi a disagio nel fuoristrada spinto, specie con le gomme che permettono di godersele su asfalto. Non capirò mai il ragionamento di chi accetta di fare una fatica boia in fuoristrada, piantandosi, cadendo o facendosi venire l’infarto per stare in piedi, solamente perché ha il terrore di viaggiare scomodo in autostrada. Ma se il mercato è assurdo è perché noi motociclisti siamo assurdi. In realtà io non ho nulla contro le Adv da 1200/1300 cc che, ripeto, sui percorsi scorrevoli sono esaltanti, ma perché ce ne sono così poche tra le piccoline, dai 300 ai 500 cc?
Le ho usate alla Hardalpitour Extreme del 2022, compresi 400 km di autostrada e le ho promosse in pieno, anche se hanno due difettoni: misure delle gomme assurde (di tassellato “serio” non si trova praticamente niente) e la scarsa coppia di un 300 cc anche se va detto che Honda, su questa piccola cubatura, ha fatto veramente un gran bel lavoro. Perché non fanno una moto identica, ma con un 400 cc? Non parlatemi della CRF450L, quella non è una dual sport.
Stando così le cose, nel “sognare che prima o poi arrivi la moto che sogno” sto guardando con grande interesse alla categoria delle adventure tra i 300 e i 550 cc, che le riviste e i siti trattano un po’ come le sfigate per principianti, per chi vuole spendere poco e per coloro cui la moto serve solo per muoversi in città o per “la gita fuoriporta” (mamma mia, quanto odio quel termine, almeno quanto “zavorrine”). Per me, invece, la ricetta della felicità potrebbe arrivare proprio da lì. Ho sempre i radar accesi quando arriva qualcosa di nuovo. Se sono stati i cinesi e gli indiani a iniziare, è perché nei Paesi emergenti le 1200 costano troppo, quindi le 400 sono le 1200 dei poveri, per essere cattivi. Ed anche questo contribuisce a ritenere tali moto sfigate, ecc. ecc.
Mono ad aria Shineray con avviamento elettrico clonato dalla Honda XR400E, ciclistica da fuoristrada, allestimento adventure, peso sotto i 150 kg, serbatoio grosso… Sono anche riuscito a guidarne una, prestata da un francese in Valle Argentera (TO) e mi era piaciuta parecchio. Peccato che l’importatore italiano delle Mash non abbia ritenuto fosse il caso farla arrivare da noi… e altrettanto peccato che le Mash, in quel periodo, non godessero di una buona fama dal punto di vista dell’affidabilità (e non solo in quel periodo…).
Questa moto mi ha colto di sorpresa, non avevo captato alcuna anticipazione, l’ho scoperta con questo video, uno dei più emozionanti che mi sia mai capitato di vedere e che mi ha riportato ai tempi della Yamaha Ténéré 600 del 1983: due motociclette concepite per attraversare territori impervi e bellissimi. Per la Yamma era il Sahara, per la Royal Enfield la catena himalayana.
Che fascino! Un mono ad aria a 2 valvole che fa pum pum, proprio come quello della mitica Yamaha XT500. M’è piaciuta tanto. Ho usato anche lei alla Hardalpitour Extreme (che con i suoi 850 km di fila, le due notturne, i terreni di ogni tipo e i 500 km di trasferimenti autostradali è il massimo per provare una dual sport) e n’è uscita alla grande, come comportamento in fuoristrada e come resistenza. Ma non è la mia moto ideale: un mono da 400 cc non può pesare quasi 190 kg a secco!
Altra folgorazione, altra moto di cui non sapevo nulla. Eicma 2022: conosco la cinese Colove ma non so che è stata ribattezzata Kove, vedo questa moto e all’inizio penso che sia un giocattolo della Peg Perego a forma di KTM, poi la esamino meglio e mi dico: “Ma questa è la degna erede della Suzuki DR-Z!”. Una rally economica, con tre serbatoi per un totale di 29 litri e quello che sembra essere lo stesso motore della Fantic Caballero 500 (ma in realtà è diverso) e sospensioni dall’escursione contenuta in 250 mm di corsa alla ruota (ma, se vuoi, c’è anche da 300 mm).
LE 500 IN LINEA – Himalayan e Kove 450, con i loro motori monocilindrici, sono un po’ delle mosche bianche in mezzo a un mare di 500 bicilindriche dall’impronta più stradale, spuntate come funghi negli ultimi anni.
Era una moto che si spaccava sempre (pistoni bucati ogni 15.000 km!), ma ha fatto uno dei viaggi più iconici del motociclismo. Non era una fuoristrada, ma fu costretta a fare tantissimi sterrati. Per questo oggi guardo alle sue eredi con simpatia. Ma quali sono le sue eredi?
Dato che le altre riviste non erano interessate a lei, era facile farsela dare in prova per i miei servizi di turismo. Così imparai ad apprezzarne le sue numerose doti, anche se non mi faceva godere più di tanto. Nel 2004 ero tentato di comprarla, perché la vendevano nuova ad appena 4.700 euro. Ma poi trovai un’Honda Africa Twin 750 usata a 1.800 euro e mi sentivo più attratto da quella.
Quando la KLE è uscita di produzione, per oltre 10 anni non ci sono state proposte fuoristradistiche con tale tipo di motore. Poi è esplosa la moda.
La Benelli, con la linea che ricordava la BMW R 1200 GS, il prezzo pari a un terzo di questa e doti di comfort anche in due e trasporto bagagli da grande viaggiatrice, ha sfondato a livelli inimmaginabili, arrivando al vertice delle vendite del mercato italiano, in lotta proprio con la predetta BMW.
Nonostante la Voge pesasse di meno e avesse un baricentro più basso, le vendite hano continuato a premiare la moto pesarese. Il Loncin è fasato a 180°, il QJ della Benelli a 360°, per cui come erogazione e carattere i due propulsori sono diversi.
La moto arriva in Europa marchiata Rieju Aventura e, con quella autonomia (oltre 800 km), è una pronto-raid per traversate desertiche con i fiocchi. Credo che non sia mai esistita una moto di serie con 40 litri di serbatoi totali, per di più dagli ingombri discreti.
In tutto questo bordello, nella speranza di veder nascere una moto che mettesse insieme i pregi delle mie due (Suzuki DR-Z e Yamaha T7) ma non i difetti, devo dire che nessuna di queste proposte mi ha scaldato l’animo. Si potrebbe dire che abbiano il peso della Yamaha e la potenza della Suzuki, mentre io avrei preferito il contrario.
Il mono ad aria a 2 valvole da 24 CV ha ceduto il passo ad un altro mono, raffreddato ad acqua, a 4 valvole e da 40 CV. A questo punto la moto non era più soltanto un simpatico oggetto esotico, ma un qualcosa di realmente fruibile a 360°. La famosa moto totale?
Disegnata da Kiska e realizzata da una delle Case che costruisce i motori per KTM, questa bicilindrica fasata a 270° sembrava promettere reali avventure fuoristradistiche. Il parafango alto, gli specchietti pieghevoli, i cerchi 21”-18” con canale stretto, la sella in pezzo unico, le sospensioni da 200 mm di corsa…Era forse l’incrocio tra mono e bi che sognavo da anni?
Da Eicma in poi ho quindi tentato di mettere in piedi quella che, per me, era la comparativa dell’anno, ovvero la sfida tra queste due moto. Ogni volta che le chiedevo però era “troppo presto”, sempre troppo presto. Nel frattempo sono riuscito a provare la Kove 450 Rally e anche l’ultima versione della Beta Alp 4.0 che, chiaramente, fa parte della famiglia delle potenziali moto totali.
“Avremmo potuto prendere queste moto, metterle insieme alle altre quattro e ci avremmo fatto le stesse cose”. Il succo del discorso è che ultimamente ho provato 12 moto tra i 300 e i 500 cc e, giudicandole in ottica “adventure”, hanno quasi tutte senso di esistere, ma manca sempre qualcosa. Intanto trovo assurdo che la massa delle persone preferisca, a parità di cubatura, i bicilindrici piuttosto che i monocilindrici. Certo, i bi vibrano meno, hanno più cavalli in alto e sono più elastici in basso ma, fino alle cubature intorno al mezzo litro, per me non c’è paragone a livello di gusto di utilizzo. La pistonata pum pum dei mono, quando iniziano a spingere ai bassi, i bicilindrici da 450/500 cc se la possono solo sognare. Per avere una bella erogazione, gustosa, il bicilindrico dev’essere grosso.
Tra l’altro stanno girando voci relative a una Fantic 800 Rally equipaggiata con il motore della prossima Ténéré. Ma sto divagando. Torniamo alle 12 motine che ho provato, sempre pensando “potrebbe essere lei l’eletta?”.
Per me un elemento di scelta molto importante è come si comportano i motori in fuoristrada nella situazione più difficile, ovvero la salita lunga, ripida e piena di ostacoli tipo canalette, ghiaia, sassi, fango, tornanti stretti, gradini. Se uno è bravo, arriva lanciato in seconda o addirittura terza marcia, tiene il gas aperto, non lo chiude per alcun motivo al mondo e galleggia sugli ostacoli. Ma io non sono bravo e quel gas lo chiudo.
A quel punto i motori si dividono tra quelli che riprendono i giri senza problemi dalla seconda marcia e quelli che invece non ce la fanno, ti costringono a scalare in prima e, addirittura, non riescono più a recuperare i giri, per cui sali sempre più lentamente, pregando tutti i Santi che la fine della salita arrivi in fretta. Il modo migliore per diventare dei bravi scalatori è iniziare da giovanissimi con i cinquantini da enduro a due tempi, che hanno l’erogazione più difficile immaginabile: in pratica principianti alle primissime armi devono combattere con i motori più ostici in assoluto, perché vanno tenuti costantemente a stecca. Altrimenti non solo perdono i giri, ma si ingolfano pure. Al contrario, le 300 a due tempi, che sono usate dai massimi esperti di enduro estremo, si possono usare con un filo di gas ai bassi regimi, arrampicandosi sui muri. Quindi parlerò di moto che Salgono in seconda (Sis) o che Muoiono in prima (Mip). Prima, però, a bocce ancora ferme presento le contendenti.
Poi, leggendo nella cartella stampa in che cosa la 300 cambiava rispetto alla 250, ho capito che era stato fatto un profondo lavoro per migliorare la moto sotto svariati aspetti: coppia in basso, sospensioni, luce a terra, autonomia della Rally, il tutto con una leggera diminuzione di peso. La differenza tra le due è che la Rally ha il serbatoio più grosso (circa 13 l contro quasi 8), un faro più potente ed è carenata. A pelle il cuore batte per la Rally, che è più affascinante, ma pesa 8 kg in più a secco e tali chili sono tutti concentrati davanti. Inoltre c’è una grossa differenza di prezzo: 5.940 euro la “nuda”, 7.140 euro l’altra (i prezzi li mettiamo sempre chiavi in mano).
La moto ha un aspetto accattivante, ma costa appena 4.240 euro (1.700 meno della CRF300L e quasi 3.000 meno della CRF300 Rally!) e confesso che la somma di “basso prezzo e moto cinese” mi ha fatto pensare che fosse una baracca. Per questo ho deciso di usarla alla Hardalpitour Extreme 1000, la più dura mai concepita, convinto che si sarebbe aperta in due.
Perché non la metto a fuoco? La sorellina da 200 cc sa quello che vuole: offrire una latitudine di utilizzo che va dal motoalpinismo all’autostrada, passando per l’uso quotidiano. C’è capitato più volte di caricarla di bagagli e farci tirate autostradali di oltre 500 km mentre, all’opposto, c’è gente che ci fa quasi del trial. La 4.0 da 350 cc invece non è da motoalpinismo. La nuova versione cambia soprattutto per soddisfare le normative anti inquinamento, che il vecchio motore, quello della Suzuki DR350SE, alimentato a carburatore e raffreddato ad aria, non era in grado di rispettare. Adesso il propulsore è un Tayo raffreddato ad acqua ed alimentato a iniezione. Però già la versione precedente, equipaggiata con il motore della Suzuki DR350SE, aveva un peso e una luce a terra non compatibili con la pratica del motoalp. Questa è anche peggio, se consideriamo che ha lo scarico che passa sotto al motore, cosa inconcepibile su un monocilindrico destinato al fuoristrada. Esiste un paramotore in metallo aftermarket, che però riduce ulteriormente la distanza tra il motore e il terreno. Stranissima anche la scelta di installare un portatarga più adatto a un’Harley-Davidson che a una enduro, ma lì esistono già i rimedi, nel mercato degli accessori. Il trucco per apprezzare questa moto è non pensarla come una motoalp, ma come una dual sport molto leggera e maneggevole, venduta a 6.040 euro. Beta stessa offre come optional borse laterali e relativi telaietti.
Perché della Caballero base già apprezzavo l’erogazione del suo motore Zongshen, la linea, la maneggevolezza. Il suo mono a 6 marce è dolce ed elastico sotto, ma spinge bene, sale rapidamente, è molto piacevole. Per me “Caballero Rally” significava avere quel motore e quell’estetica lì, ma con una ciclistica da fuoristrada vero, un serbatoio da traversata africana, una carenina, quindi le mie aspettative erano immense. Invece le modifiche, rispetto al Caballero Scrambler, si limitavano al cerchio anteriore da 19” (non da 21”) e alle sospensioni dall’escursione maggiorata. Ma la moto era comunque interessante ed è per questo che ho deciso di provarla alla Hardalpitour Extreme del 2020. Oggi il suo prezzo chiavi in mano è di 7.740 euro.
Ad Eicma 2022 avevo capito che avesse lo stesso motore Zongshen della Fantic Caballero e il fatto che fosse disponibile anche con sospensioni da 260/250 mm di corsa alla ruota, oltre che da 305/300, me l’ha fatta interpretare come una dual sport che, del mondo rally, prendesse la protezione e l’autonomia (14 litri davanti, 15 dietro). Quindi ero convinto che fosse la vera erede della Suzuki DR-Z. Altri invece ci hanno visto la rally dakariana più economica in circolazione visto che, così come la vedete, costa 9.240 euro, qualsiasi corsa delle sospensioni scegliate.
Anche questa moto esprime ad altissimi livelli il mio ideale: motore monocilindrico di media cilindrata, ciclistica da fuoristrada, allestimento da viaggio. Costa 6.700 euro, oltre 1.000 più della precedente versione raffreddata ad aria.
La 390 Adv la conosciamo bene, l’abbiamo usata anche alla Hardalpitour Extreme 1000 del 2023 e sappiamo che la sua ricetta è più sbilanciata verso l’asfalto, anche nella versione con ruote a raggi SW, che costa 8.430 euro. Anche BMW, con la G 310 GS e Triumph, con la Scrambler 400X, hanno potenziali moto totali che però hanno ciclistiche troppo stradali mentre, come lamentavo a inizio articolo, alle grosse da 900/1200/1300 cc riservano avantreni da 21” e sospensioni oltre i 200 mm di corsa. Eppure sono anni che, ogni tanto, viene pizzicata in giro una KTM 390 prototipo, camuffata, con ciclistica fuoristradistica. Ogni volta è molto diversa dalla precedente, ogni volta ci illudiamo di vederla all’Eicma di turno.
Perché no? Ha pure i paramani sul manubrio da enduro! Scherzi a parte, nella prova pubblicata su Motociclismo di settembre 2024 ho dato molta enfasi all’importanza che Triumph, con le sue TR5 e TR6 bicilindriche, ha avuto nella storia delle moto tuttoterreno: le scrambler sono le antenate delle dual sport, delle maxienduro, delle rally. L’attuale 400X è monocilindrica ma, nelle forme e nel comportamento, è la loro degna antenata. Costa 6.645 euro.
La CL (7.440 euro) emana un grande fascino per via delle sue forme minimaliste e può piacere molto solo per questo, ma è una delle moto con la storia più carismatica in circolazione. Infatti è l’erede della CL72 da 250 cc, che batté il record di traversata della penisola di Baja California: 39 ore per fare 1.600 km di sterrate sabbiose e sassose, nel lontanissimo 1962. Ed anche qui c’entrano i fratelli Ekins, nello specifico Dave, che fu uno dei due piloti scelti dalla Honda. Perché non c’era anche Bud? Perché lui era un venditore Triumph.
Sulla carta è la bicilindrica che prometteva le migliori prestazioni in sterrato, inoltre tra queste 12 è l’unica ad avere la misura posteriore da 140/80-18”, che permette di accedere agli pneumatici più adatti al fuoristrada. Il prezzo di 6.240 euro è uno dei più bassi tra le bicilindriche.
Confesso che, ad Eicma 2022, non l’avevo quasi notata. Era messa completamente in ombra dalla 450 Rally e dalla 800X Adventure. Del resto è dura farci caso, con due sorelle simili: ha il look mazingoide comune ad altre 500 cinesi (tipo Mitt e Macbor), per cui non sai se si scopiazzano pure tra loro oppure se è la stessa moto marchiata in modi diversi (e non hai neanche voglia di saperlo). Ha i cerchi da 19”-17”, quando tu vuoi i 21”-18”. Pesa 24 kg reali più della 800, ma ha metà dei CV di quella… E costa 7.240 euro, quando Benelli e Voge hanno proposte simili a 1.000 euro in meno. Ma allora perché ne parlo in questo articolo fortemente sbilanciato verso il fuoristrada? Perché è figlia di Zhang Xue, fondatore e Ceo di Kove, un maniaco del fuoristrada, che realizzava soltanto moto che gli sarebbe piaciuto guidare (parlo al passato, perché a marzo ha mollato la carica “per inseguire i suoi sogni”). Per cui la sua 500 ha sospensioni di primordine, forse le migliori tra queste 12 moto. Il primo a parlarmene bene è stato Klaus Nennewitz, eclettico giornalista tedesco, appassionato di rally e con un passato di progettista (è sua l’Aprilia Tuono 1000 V2). Ha fatto l’Hardalpitour 2023 con la Kove 510X e mi ha detto “Non hai idea di quanto vada bene in fuoristrada questa moto. La forcella è impressionante”.
Ma, dopo averle provate, qual è il verdetto?
L’ho usata come si deve, anche se non siamo riusciti a portare nessuna delle due CRF300 al Centro Prove, per vedere pesi e cavalleria. Vengono dichiarati 144 kg senza benzina e, di solito, noi rileviamo pesi effettivi superiori al dichiarato.
Da Piacenza al mare facendo passi appenninici asfaltati (Zovallo, Tomarlo e Forcella). Da Chiavari a Sanremo in autostrada. Quindi 850 km di Hardalpitour Extreme, su fuoristrada di quasi ogni genere e tanto fango (pioveva), anche di notte. Infine, il ritorno a Milano in autostrada. Mi sono sempre divertito ed è stata la Hat meno stancante di sempre, nonostante piovesse.
Il pregio di questa moto è che mi fa fare tutte queste cose senza farmi rimpiangere (troppo) altre moto. In autostrada posso viaggiare a 110 km/h senza avere la sensazione che il motore stia per esplodere, come invece mi succede con la Suzuki DR-Z400. È sufficientemente comoda. Ovviamente un 300 non è un mostro di potenza e coppia, ma qui abbiamo un cambio a 6 marce con la prima corta e la sesta lunga e un motore ottimizzato per i bassi. In pratica, sui salitoni è un Sis (sale in seconda e non muore) e fa pure pum pum. Le sospensioni sono morbide (ma non flaccide) e sfrenate, per cui si avanza saltando come canguri. Ma sulle pietraie copiano tutto. Frena benissimo, con un ABS escludibile dietro ottimizzato per il fuoristrada. Ci abbiamo fatto fino a 32 km/litro, quindi con un serbatoio da 12,8 l riesce a passare i 400 km. La media della Hat però è stata di 27,6 km/l. Finiture (e, si presume, affidabilità) sono degne di Honda. In rete si trovano telaietti laterali per le borse. Insomma, è uno dei migliori compromessi disponibile attualmente. Ha un solo, odioso difetto: le misure delle gomme, cioè 80/100-21 e 120/80-18. Di tassellato specialistico non si trova quasi niente, è assurdo. In pratica dietro puoi mettere solo la Metzeler MC360 Mid in versione Soft o la Pirelli MT21 Rallycross. Davanti qualcosina in più.
Pregio: versatilità. Difetto: misure gomme.
Sostanzialmente è la stessa moto, ma vengono dichiarati ben 8 kg di differenza a serbatoi vuoti (136 kg dichiarati senza benzina), che diventano quasi 12 facendo i pieni: e siccome tale divario è concentrato tutto davanti, si sente parecchio. Per cui, se già la Rally va molto bene in fuoristrada, la L lo fa ancora meglio. In più costa ben 1.200 euro in meno. Il ragionamento che fanno in molti è che acquistando un serbatoio Acerbis da 14 l (in rete si trova a meno di 300 euro), cambiando i fari con altri a Led e montando un piccolo cupolino in stile dakariano si otterrebbe una moto con gli stessi plus della Rally ma più agile, con più autonomia (tra l’altro con la L siamo arrivati a fare 34 km/litro: vorrebbe dire passare i 475 km con un pieno, ma la media della Hat è stata di 29 km/litro e col serbatoio di serie significava entrare in riserva ben prima dei 200 km) e meno costosa, per cui si potrebbe pure investire qualcosa per migliorare le sospensioni.
Pregio: fuoristrada. Difetto: misure gomme.
Benissimo! Neanche un bullone allentato. Quello che fa impressione è che costa 3.000 euro meno della sua rivale diretta, la Honda CRF300 Rally. Ed è venduta a 4.000 euro, ovvero costa quasi la metà… Rispetto alla Honda ha una sella più comoda, sospensioni sempre troppo morbide ma meno sfrenate, misure delle gomme meno balorde e un’autonomia inferiore. Il serbatoio dichiara 11 litri, ne abbiamo rilevati 11,9. Abbiamo fatto la Hat a una media di 27 km/l. In fuoristrada è molto divertente e non dimostra il suo peso effettivo di 154 kg senza benzina (dichiarato: 150 kg). Quindi una moto da 4.000 euro vale quanto una da 7.000? Beh, no. Ci sono delle cose in cui la Honda è nettamente superiore. Il motore, ad esempio: è più corposo e piacevole da usare, anche se in fuoristrada quello della Voge – clone del Kawasaki KLX300, che troviamo anche su Benelli BKX300 e UM DSR300 Rally – va molto bene (è un SiS anche lui!). È su asfalto che soffre la differenza, soprattutto per via del cambio a sei marce ravvicinate. Se vuoi la prima corta, avrai corta pure la sesta. In autostrada superare i 90 orari ti fa soffrire perché il motore urla, passi il tempo a contare quanti km mancano. In più vibra. La frenata è molto buona in sterrato (l’ABS non è invasivo e si può escludere dietro) ma su asfalto è molto scarsa. Infine, l’illuminazione è modesta. Ma per 4.000 euro questa moto va veramente bene. Ovviamente non possiamo sapere quanto sia affidabile, è troppo presto. In 1.300 km ha consumato parecchio olio, ma per molte moto è normale farlo quando sono in rodaggio.
Pregio: rapporto qualità/prezzo. Difetto: frenata su asfalto.
Purtroppo la nostra è stata una prova lontana dalla redazione, senza la possibilità di portarla al Centro Prove e neanche di usarla di notte, per vedere come se la cavano i fari (la precedente versione era ottima, da quel punto di vista). C’è un peso dichiarato di 140 kg a secco: di solito noi rileviamo pesi effettivi superiori al dichiarato e la vecchia Alp 4.0 a noi era risultata 133 kg effettivi. Di quella, la nuova mantiene le dimensioni contenute, lo sterzo agilissimo, il grande divertimento nei tornanti asfaltati anche con gomme specialistiche, la sella vicina a terra, la grande facilità nel fuoristrada impestato. Di meglio, e non è poco, ha le sospensioni e la frenata. Di peggio invece ha la primissima risposta del motore ai bassi regimi (è meno pronto), la luce a terra (lo scarico passa sotto e sui gradini e sassi tocca spesso e volentieri) e il reggi targa. In ogni caso, complice il fatto che è bagagliabile con portapacchi e borse laterali, io in lei vedrei una moto da viaggio veramente avventuroso, come la traversata di Panama che sta circolando in rete in questi giorni. Ma non si può far passare lo scarico là sotto… Il serbatoio tiene 11 litri, come la Voge, ma non siamo stati neanche in grado di calcolare il consumo.
Pregio: agilità. Difetto: scarico basso.
Il già citato giornalista-ingegnere Klaus Nennewitz l’ha usata alla Hat Extreme 2019. Ne ha rilevato alcuni difetti, ma s’è convinto che la moto avesse un potenziale enorme. Così è andato in Fantic ed ha parlato con uomini per i quali aveva lavorato in passato. “Permettetemi di progettarne una versione Adventure”. Parlava di cerchi 21”-18” e di migliori sospensioni, ergonomia, autonomia. Ma non li ha convinti. Un anno dopo, 2020, l’ho usata anche io alla Hat Extreme. E sono giunto alle sue stesse conclusioni. Il motore è ideale per fare tutto, dalla mulattiera alla città all’autostrada. Il consumo medio della Hat è stato di 21,4 km/litro, buono ma non strepitoso. Il serbatoio, che è la sua parte più iconica, tiene 12 l. In generale l’autonomia passa i 250 km. La posizione di guida è ottima da seduti, mentre in piedi il manubrio è basso e i fianchi sono troppo larghi perché lo scarico passa esternamente al telaio. Si rimedia cambiando manubrio e montando una pedana destra enorme, da rally, in modo da tenere la gamba più in là. La moto ha 200 mm di corsa alla ruota delle sospensioni, ma è bassa, compatta, leggera (dichiara 150 kg a secco) e ispira tranquillità e fiducia. Nel 2019 e nel 2020 la forcella era violentemente sfrenata, ma l’hanno migliorata. Ciò che meno ci piace sono i cerchi da 19” e 17”, che tutto sono tranne che da Rally. Saremmo golosi di guidare una Caballero Rally con cerchi 21”-18” e gomme specialistiche.
Pregio: erogazione. Difetto: cerchi 19”-17”.
È più sbilanciata verso la seconda, del resto l’animo del suo vulcanico creatore è 100% racing. Quando Zhang Xue s’è iscritto alla Hat pensavo che la vivesse come un’occasione d’oro per testare i suoi prodotti in quello che, per me, sarebbe un ambito turistico: a questa manifestazione si portano dei bagagli che vanno fissati sulla moto e fare centinaia di km di pietraie è un ottimo modo per collaudare la resistenza di portapacchi e sistemi vari. Ma Zhang ha fatto la Classic (530 km) interpretandola come una gara, senza bagagli, fermandosi la notte in albergo e con un furgone di assistenza al seguito. Per dire: ad Eicma mi ero illuso che questa bella moto avesse lo stesso motore della Caballero. In realtà la base di partenza è quella, ma la termica viene rimpiazzata da una ex novo, dotata di testa bialbero e con una potenza dichiarata di una cinquantina di cavalli, contro la quarantina della Fantic. Per i miei gusti è diventato troppo corsaiolo, perché in base alla legge della coperta corta in basso spinge meno del Caballero. Si esprime al meglio agli alti regimi, quindi piace a chi ha la vocazione a tirare le marce e non a chi ama il corposo pulsare dei mono ai bassi regimi. Viene consigliato di cambiare l’olio ogni 2.000 km, quasi come su un motore da enduro spinto, ma potrebbe essere un eccesso di precauzione, visto che il motore contiene 1,8 l di lubrificante. Il fischio di aspirazione è fastidioso, altra cosa che non va bene per un utilizzo turistico. Kove non ha pensato a dotarla di portapacchi o telaietti laterali, neanche a richiesta ma in rete ho visto degli orridi telaietti laterali realizzati artigianalmente. Per il resto la moto sembra andare bene: purtroppo sono riuscito a provarla poco, in parte su strade statali senza curve e in parte in pista da cross. Niente Centro Prove, niente prova dei fari di notte, niente verifica dei 146 kg dichiarati senza benzina. I miei successivi tentativi di provarla su distanze più lunghe e su percorsi da favola sono sempre falliti, la moto non è mai disponibile. Da quel poco che l’ho guidata l’ho trovata molto divertente, con sospensoni a punto (l’abbiamo fatta provare anche a un pilota di cross che ci girava a manetta, facendo saltoni e derapate), del resto sono già due anni che le versioni pronto rally da 15.000 euro si fanno onore alla Dakar. Piccola polemica: io volevo provarla con le sospensioni da 260/250 mm di corsa alla ruota, perché in ambito turistico toccare bene per terra è importante, ma viene spinta di più la versione da 305/300 mm. Agli eventi adventouring vedo parecchia gente con la Kove 450 Rally e sono tutte con le sospensioni da 300 mm di corsa. Se chiedo come mai non abbiano preso la Low, dalle risposte direi che è una faccenda di uomini veri che non vogliono sentirsi sminuiti.
Pregio: è la rally più economica. Difetto: trasporto bagagli.
Per certi versi è andata come speravo: dopo averla guidata, credo in lei come attrezzo da caricare di bagagli e portare su strade di montagna fangose e piene di guadi, che siano sulle Alpi, in Ladakh o sulle Ande. Ha un’autonomia media che supera i 400 km (abbiamo rilevato una media di 24 km/l e il serbatoio tiene ben 17 l), che possono diventare 600 con il serbatoione Acerbis da 25 l. Inoltre la trovo veramente gustosa da usare senza fretta, godendomi il pulsare del mono ai bassi regimi. Mi piace persino usarla in città! Però forse mi aspettavo troppo da lei, nel senso che è… meno monocilindrica di quello che ritenevo dovesse essere. A me dei mono piace la combinazione tra botta di potenza ai bassi e avantreno che si alleggerisce, ma qui le cose funzionano al contrario. La moto pesa ben 186 kg a secco sulla nostra bilancia (181 dichiarati), un valore eccessivo per un mono da enduro da 450 cc, oltretutto quel peso sembra persino maggiore e lo si sente molto davanti e in alto. Perché pesa ben 50 kg più della mia Suzukina in versione modificata da viaggio? In più il motore sale di giri in maniera lineare, senza botte ed è un Mip, ovvero sui salitoni bisogna tenere sempre aperto, altrimenti fa fatica. Di potenza ne ha – 41 CV all’albero effettivi – ma arriva con calma. Bisogna rassegnarsi al fatto che non sia il classico mono agile e scattante, ma una moto a sé, con una forte personalità. L’ergonomia è piaciuta a tutti, in redazione, sia seduti sia in piedi e le sospensioni Showa non regolabili sono valide, nel senso che sono morbide ma non molli e frenate il giusto. Abbiamo visto diversi “manici” fare numeri con questa moto, nel fuoristrada difficile. I freni sono decenti. Grosso difetto: manca il faro posteriore centrale, essendo rimpiazzato dagli indicatori di direzione che sono fissi rossi o arancioni lampeggianti. Una soluzione stilosa, ma si sa che cadendo in fuoristrada le frecce sono tra le prime cose che saltano…
Pregio: piacevole da guidare. Difetto: peso.
Questa va esattamente come speravo facesse la Himalayan. Ovvero ha quella che per me è l’erogazione ideale di un mono, abbinata a una ciclistica agile. Tra queste dodici è la moto che mi ha dato più gusto e che meno di tutte avrei voluto restituire. Però ha sospensioni rigide, con poca corsa alla ruota (150 mm) e cerchi 19”-17” a razze, perché è una scrambler… che non sa che potrebbe essere una moto totale. Anche la posizione di guida è perfetta, sia seduti sia in piedi. Peso dichiarato senza benzina 170 kg, effettivo 173. Il motore ha 40 CV dichiarati, ma anche effettivi e sui salitoni è un Sis. Pulsa, fa pum pum, è vivace, non ha on off, consuma poco (media del giro 26,5 km/l con un serbaoio da 13 l: quasi 350 km di autonomia) e richiede il cambio olio ogni 16.000 km. In autostrada dà il peggio di sé: di sella è comoda, ma le manca il cupolino, vibra e ha la sesta corta (a 130 km/h di Gps il motore urla a quasi 8.000 giri). Fino ai 110 km/h però si sopravvive a lungo, sia fisicamente sia psicologicamente e, a quella velocità, si riescono comunque a macinare km in fretta.
Pregio: bella da guidare. Difetto: anima adventure imprigionata nel corpo di una scrambler.
Il problema di questa moto è il fatto che sia stata chiamata Adventure perché, a confronto con tutte queste, sembra una naked stradale sportiva. Ha dei grandissimi perché, ma non se ti aspetti una moto da turismo fuoristrada. Manubrio basso, sella alta e dura, pedane arretrate, sospensioni molto rigide, cerchi 19” e 17” e motore brillante ma poco elastico, che strappa ai bassi regimi, la rendono la più divertente su asfalto, al punto che sembra una versione carenata della Duke. Vanta anche uno dei rapporti peso/potenza migliori della categoria (abbiamo rilevato 43 CV all’albero per 162,5 kg di peso a vuoto) e consuma poco (25,5 km/litro la media misurata alla Hat Extreme 2023). Costa cara ma, come dotazione elettronica, freni e illuminazione notturna, è di un livello decisamente superiore rispetto alle colleghe da 400/500 cc. In ogni caso, come già detto prima, ormai la versione R da fuoristrada è in dirittura d’arrivo.
Pregio: fantastica su strada. Difetto: fuoristrada.
Quindi, se vuoi, il fuoristrada lo fai. Non è un mezzo ottimale come posizione di guida, luce a terra, ABS invasivo e sospensioni (ha pure i cerchi a razze), ma non nasce per fare sterrati a tutto gas. Onora la sua celebre antenata CL72, ma ad andature blande. Il motore, come tutti i bicilindrici di questa cubatura, allunga bene ma sui salitoni è un Mip, ovvero “muore pure in prima marcia”. Quindi per farli devi tenere il gas aperto e non perdere giri, ma non hai la ciclistica giusta per farlo. Di strepitoso ha i consumi: 29 km/litro per una 500 cc da 47 CV è tanta roba e compensa un serbatoio non immenso (12 l, autonomia 350 km). A renderla ulteriormente poco adventurosa c’è il fatto che non è facile bagagliarla, avendo un terminale di scarico grosso come una valigia laterale. Dichiara un peso a secco di 182 kg, ma noi ne abbiamo rilevati, a serbatoio vuoto, poco meno di 188.
Pregio: fascino minimalista. Difetto: strumentazione illeggibile.
Se saltiamo al volo da tutte quelle di cui abbiamo parlato finora a questa, sembra veramente un altro mondo. La si percepisce subito più grande, spaziosa, accogliente, protettiva aerodinamicamente. La sella è la più comoda in assoluto e la postura è perfetta sia seduti, sia in piedi. Ha anche due belle pedane rallystiche, larghe e artigliate. È la prima a rivelarsi comoda anche in coppia: tutte le altre sono più godibili senza passeggero, Himalayan 450 compresa. Ha un serbatoione da 20 l (ma consumicchia: abbiamo rilevato una media di 18 km/l) e può caricare molti bagagli. In fuoristrada, nonostante i cerchi 19”-17”, va davvero bene, con sospensioni Kayaba regolabili che funzionano in maniera egregia (e che spiegano perché costi un po’ più delle altre cinesi: ha anche cerchi tubeless Akront e tre freni a disco con pinze Nissin). Sono le migliori tra queste 12 moto, insieme a quelle della sorella 450 Rally. Le Kove, insomma, dimostrano alla grande il loro dna fuoristradistico. Abbiamo dei dubbi sull’effettiva corsa alla ruota dichiarata (210 mm la forcella, 195 il posteriore) perché la luce a terra è di 195 mm con il paramotore montato, non un gran valore. Il peso dichiarato senza benzina è molto alto (192 kg) e in più noi ne abbiamo rilevati 202 effettivi, senza i telaietti laterali. Due quintali sono tanti, se consideriamo che ci sono moto più grosse e potenti che pesano uguale o persino di meno (Aprilia Tuareg 660, Yamaha Ténéré 700, KTM 890 Adventure), per non parlare della sorella Kove 800X Adv Pro, che pesa 24 kg meno di lei. Tuttavia, le dimensioni compatte del propulsore, il minore peso dell’albero motore, il baricentro basso e la sella abbastanza vicina a terra rendono l’approccio con tale moto più facile e rassicurante rispetto alle Aprilia/Yamaha/KTM appena citate. Su asfalto è velocissima ad entrare in curva, in fuoristrada mette meno ansia quando si tratta di affrontare fondi scassati. L’avantreno da 19” non farebbe rimpiangere un 21” se non fosse che le tassellate più efficaci si trovano solo in quest’ultima misura.
Della Kove 510 non ci piace la personalità del motore. Kawasaki 450 a parte, ho provato tutti gli attuali bicilindrici in linea da 450/500 cc, ovvero Honda, Loncin, QJ, Zongshen e Gaokin: è ques’ultimo il mio preferito, mentre lo Zongshen è quello più noiosello, con meno carattere. Sotto spinge poco, è anche irregolare, sui salitoni è un Mip, è fin troppo silenzioso. Ma, al momento di tirare le somme, la 510X rappresenta una proposta eccellente per quanti vogliano una moto poco costosa con cui affrontare lunghi viaggi in coppia stando comodi e pieni di bagagli e, allo stesso tempo, partecipare agli eventi adventouring divertendosi anche nei tratti difficili.
Pregio: moto completa. Difetto: motore poco emozionante.
L’abbiamo messa per ultima perché è la moto di cui gli appassionati di fuoristrada a lungo raggio parlano in questo momento. Ci piace di linea e ci fa godere anche solo andarci a spasso, perché ha una tonalità di scarico che ci fa accapponare la pelle. Sembra leggerissima, ma alla fine pesa i suoi bei 184 kg a secco, nonostante ne dichiari 173. La sua rivale diretta, la Himalayan, in questo caso non è riuscita a sfruttare il vantaggio di essere una monocilindrica. Le sue sospensioni Kayaba, pluriregolabili e con 200 mm di corsa alla ruota su entrambi gli assi, lavorano molto bene, anche se sulla Kove 510X ci sembrano ancora migliori. Ha una buona luce a terra, 230 mm, 5 mm meno rispetto alla Himalayan. Si guida bene in piedi. Da seduti no: questo perché la moto arriva in Italia soltanto con la sella in versione bassa ed essendo io sopra il metro e ottanta mi tocca guidare con le gambe in bocca e il manubrio posto troppo in alto. Ma in rete si trova quella alta, per fortuna. Prima di morire mi piacerebbe averne in mano una con gomme specialistiche e affrontare con la pioggia quegli eventi che, con le bicilindriche gommate male, mi creano angoscia, grande fatica e passi avanti verso l’infarto. Tipo lo Sterrare è Umano o il Leventino. L’unica cosa che non mi piace, ma che è in comune a tutte le bicilindriche di questa fascia, è che in salita è una Mip. C’ho provato a salire in seconda ma, ogni volta che chiudevo il gas, si spegneva la luce.
Ma perché uno dovrebbe sognare una bicilindrica gommata enduro racing, quando in commercio ci sono monocilindriche più leggere? Perché una moto come la CF non va bene solo in fuoristrada, ma anche su asfalto. Tra tutte queste è la più comoda e ospitale per il passeggero, persino più della Kove. Ha un parabrezza regolabile al volo con una sola mano che protegge veramente. Si può caricare di bagagli senza perdere in stabilità o sbilanciarsi. L’autonomia è molto buona: 17,5 l per un consumo medio di 20 km/litro effettivi. Ci aspettavamo cose migliori dai freni e dai fari anteriori, inoltre la sesta in autostrada è troppo corta e, a 130 km/h di Gps, il motore strilla quasi 7.800 giri, 1.000 in più che su Kove 510X e Himalayan. Ma una moto così è davvero tantissima roba, oltretutto costa poco più di 6.000 euro.
Pregio: bicilindrica che può montare gomme specialistiche. Difetto: sesta troppo corta.
EICMA 2024 – Il Salone è alle porte ed io, come ogni anno, mi aspetto novità succose su questo fronte. Cosa potrebbe essere lecito aspettarsi?
Da parte di Triumph si sa che stanno uscendo due nuove 400 monocilindriche: una dovrebbe essere una sportiva carenata retrò con faro tondo anteriore, ma l’altra? Ovviamente io spero che sia un’Adventure. Ma ho paura che sia sperare troppo, se la domando con i cerchi 21”-18”.
Dallo scorso inverno girano voci sul ritorno della mia amata Suzuki DR-Z400.
Ha iniziato a parlarne la rivista giapponese Young Machine, pubblicando questo disegno e chiamando la moto DR-Z 4S. Da quel momento è un continuo sentirmi dire “Hai visto, Mario? Rifanno la tua moto”. A giudicare dai dati di potenza e peso sarebbe la riedizione della versione S, appesantita e dotata di iniezione elettronica. Mentre il motore appare il solito, alimentazione esclusa. Ma è solo un render fatto da giornalisti. Nel 2020 chiesi a un ingegnere giapponese se avessero per caso intenzione di ridare vita alla DR-Z e il fellone mi ha riso in faccia. “E chi mai la comprerebbe?”, diceva. Ma l’arrivo di tutte queste enduro medie da Cina e India farebbe pensare che stesse ridendo troppo presto. Senza guardare quel render, non so se il vecchio motore della DR-Z potrebbe essere omologato Euro5 (anzi, facciamo 6) senza venire stravolto. Ma anche io mi aspetterei l’arrivo di una S, più pesante, con iniezione, ABS escludibile dietro, sospensioni economiche, misure ostiche degli pneumatici, peso reale sui 150 kg e prezzo sui 7.000 euro. Sempre che arrivi, questa moto.
Poi c’è l’Aprilia Tuareg 457. Ce l’aspettiamo da quando Aprilia ha presentato la stradale sportiva RS457, un anno fa. La logica di mercato dice che se hai già un motore bicilindrico in linea da mezzo litro, non puoi non farci un’enduro stradale, visto che è il settore che tira di più. Ma che moto potremmo aspettarci?
Ne verrebbe fuori una sorta di sorellina sfigata, con il peso della 660 ma prestazioni inferiori a tutti i regimi. E poi si tratterebbe di partire da una moto da 12.000 euro per affrontare un mercato pieno di cinesi che costano la metà. Quindi? Beh, la situazione è che i cinesi ci stanno mettendo nel sacco. La CFMOTO è una moto pazzesca, perché fa cose egregie e costa solo 6.000 euro. Noi europei ci difendiamo facendo moto premium stracostose, oltre i 20.000 euro, che sfruttano il carisma dei vari brand, ma se facessimo una via di mezzo? Ovvero moto di medio-piccola cilindrata che facciano sognare?
È chiaramente un sogno, ma pensate che roba sarebbe una 457 impostata come quella, molto più leggera della 660.