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In moto a 80 anni

“Le moto italiane hanno più gusto, quelle giapponesi più qualità: il nostro cervello è condizionato dall’ambiente in cui viviamo”. A 40 anni ha deciso di salire in moto, a 80 è deciso a restarci ancora a lungo; la nostra intervistata a Giorgetto Giugiaro
1/11 Giorgetto Giugiaro
A 40 anni ha deciso di salire in moto, a 80 è deciso a restarci ancora a lungo. Giorgetto Giugiaro ha disegnato le auto più vendute al mondo e guidato le moto più di nicchia (trial e motoalpinismo) con la stessa, travolgente passione.

La sua passione per le moto è nota. Ci risulta però che lei sia un po’ birichino…
“Vado in moto da 40 anni, la moto è stata una scoperta andando dietro a mio figlio. Ho iniziato con la Bultaco, da lì in avanti sempre e solo moto da alpinismo. Il week-end, quando posso, prendo e vado. Imperia, Colle di Nava, Limone Piemonte. Sì, lo confesso: qualche volta tolgo la targa perché in fuoristrada c’è sempre il rischio di perderla. Un giorno ero solo e mi hanno pizzicato le guardie forestali, mi volevano sequestrare la moto. Ho chiamato casa e mi sono fatto portare targa e documenti. Tutto in regola, ma hanno deciso di farmi ugualmente una multa da 80 euro. Io per vendetta gli ho detto che mi ero divertito così tanto che avrei pagato anche il doppio...”

Faccio finta di non avere sentito perché non sono nelle condizioni, proprio io, di farle la ramanzina… Però una cosa mi permetto di consigliargliela: mai in fuoristrada da soli!
“Alle volte vado in gruppo, ma al massimo in tre. Però preferisco da solo perché in compagnia è più facile farsi male. Vede, un sorpasso tira l’altro… e io a stare dietro ai giovanotti non è che mi diverta molto. L’unico incidente che ho avuto mi è capitato quand’ero da solo. In discesa, lungo un sentiero che conosco benissimo. C’era un’unica pianta in mezzo, ci ho lasciato dentro 5 denti in un colpo solo. Li ho raccolti, mi sono rialzato e sono ripartito. A casa, davanti allo specchio, mi sono detto: è arrivata la vecchiaia!”

Lei si protegge in moto?
“Il paraschiena lo metto poche volte, ma paragomiti, guanti e paraginocchiere sempre”.
Cosa vuol dire andare in moto a 80 anni?
“È un piacere, l’importante alla mia età è evitare gli azzardi. Non le dico l’emozione di andare dove vanno anche i campioni, scalare il Monviso fino a 3.600 metri. Ovvio, non faccio tutto di getto, mi occorrono tempi di recupero sempre più lunghi. Però tutto questo mi rilassa la mente, mi mantiene in forma il fisico. E mi fa vedere posti spettacolari. Una volta sono andato in Libia con mio figlio a vedere le incisioni rupestri, ho anche fatto provare la mia moto ai tuareg: sulle dune non riuscivano ad andare, allora gli ho sgonfiato le gomme e abbiamo fatto 600 chilometri di deserto insieme. La sola esperienza terrificante che conservo dell’Africa è legata al Ciad. Ero lì con amici, al ritorno io dovevo salire su un aereo piccolo, ma mi rifiutai perché c’era un solo pilota. Allora sono partito con un velivolo più grande e quando sono atterrato ho saputo che quello piccolo era caduto. Tutti morti. Tutte persone che conoscevo, che erano in vacanza con me. Andai nel deserto per il riconoscimento dei corpi. Fu terribile”.

Lei fa giri “normali” con moto stradali?
“Ho comprato un paio di BMW stradali, principalmente per questioni di estetica. Ma io vivo per il trial perché mi dà la possibilità di evadere, di stare in mezzo nella natura. Bultaco, Italjet, Aprilia, Montesa, Gas Gas e Sherco, tutte 2 tempi. Sono state queste le mie moto. Negli anni Settanta ho avuto anche una Suzuki 650 e guidavo la BMW di mio padre. Usava solo le moto, ho ancora la sua Vespa”.
Ha mai pensato di “tradire” il trial con una moto da enduro o una e-bike?
“La bicicletta a pedalata assistita mi potrebbe servire per le gambe, per tenermi in forma senza fare troppa fatica. Ma non sarà mai sostitutiva della mia moto, anche perché non ha abbastanza autonomia. Invece la moto da enduro è troppo potente e mi sfianca. Una volta ho guidato una Honda CR500R e ho fatto le stesse cose che facevo con il trial, con la differenza che ho finito la giornata esausto...” Lei ha disegnato anche delle moto: che differenza c’è rispetto alle auto? “Per fare le moto devi avere più competenza tecnica. Devi diventare un mezzo progettista, altrimenti fai cose di scarso valore. La tecnologia dei componenti delle vetture è di maggiore qualità; chi fa una moto ha un’altra ottica della scultura. Punta maggiormente sulla quantità di effetti visivi che ne enfatizzino l’aggressività, cosa che sull’auto difficilmente può essere così esasperata. Nelle moto poi ci si copia un po’ troppo. Mi ricordo quando è uscita la Katana: tutti dietro a scimmiottarla..."

Qual è la cosa che le piace meno del design motociclistico?
“La carenatura. In quei casi la moto viene un po’ penalizzata da queste superfici che nascondono l’eccezionale creatività artistica del motore. Se io potessi fare un’auto in cui si vede il motore… sarei l’uomo più felice della terra! Però capisco l’esigenza di creatività funzionale: tutto ciò che copre deve avere una funzione, e nel caso della carenatura quella funzione è l’aerodinamica”.

Qual è il colore più bello su una moto?
“Le moto hanno il vantaggio di avere più grafica rispetto alle auto, e i colori sono il tuo biglietto da visita, fanno parte del piacere di aggiungere qualcosa. Il rosso e il bianco restano i più sicuri, soprattutto all’imbrunire. Il nero però è più chic, più serio. Resta il fatto che le forme di una moto o di un qualsiasi oggetto si vedono meglio coi colori chiari. Non a caso nella storia abbiamo visto che le statue più belle erano o di bronzo o di terracotta o di marmo bianco”.
Che consigli vuol dare agli aspiranti designer?
“Di essere ben preparato, di fare una specie di tirocinio ingegneristico dopo gli studi. Quando capisci bene come si compone l’oggetto che vuoi disegnare, inevitabilmente metti in disparte un po’ di creatività. Se tu interpreti le esigenze dell’ingegnere, dello stampista, del saldatore, dell’economia, delle operazioni, allora sì che presenti un prodotto già valido all’80%”.

Chi fa le moto migliori?
“Gli italiani hanno un gusto unico, ma i giapponesi sono inavvicinabili sulla qualità. Il motivo è che il nostro cervello è educato dall’ambiente in cui vive. Noi siamo attorniati dal bello, ma i giapponesi sono un popolo più disciplinato, meno individualista. E poi da loro c’è meno spazio per costruire fabbriche e il terreno costa carissimo. Questo significa che sei obbligato a rivolgerti a tanti piccoli fornitori sparsi sul territorio. Il risultato è che la qualità del loro prodotto è necessariamente altissima: è più difficile assemblare tanti piccoli pezzi che pochi grandi componenti”.

Stiamo andando incontro alla guida assistita e all’elettrificazione: la figura del designer sarà mortificata o sarà ancora più importante per dare un’anima ai veicoli?
“La tecnologia cambia ma l’uomo è sempre uguale. Deve salire e scendere da un’auto come da una moto, quindi bisogna disegnare seguendo sempre la logica dell’accessibilità e dell’ergonomia, oltre alla bellezza. Mio figlio ha la Tesla, una macchina con una ripresa che la Ferrari se la sogna! Non parlerei quindi di un futuro con veicoli senz’anima. Secondo me è solo questione di abitudine. Ma quanto è bello arrivare in silenzio?!” .
Cosa le piacerebbe disegnare che non ha mai disegnato?
“Mi sarebbe piaciuto disegnare aerei ma poi ho fatto auto. Avevo la passione per la pittura e alla fine mi sono dedicato a impianti industriali... Però il mio sogno nel cassetto resta il carro armato. Mi affascina perché è un mezzo disegnato per delle funzioni precise. Per esempio una macchina come la Hammer nessuno stilista l’avrebbe mai fatta, ma ci sono degli aspetti che sono belli perché puramente funzionali. Io amo l’architettura, il nostro grande architetto Nervi ha fatto della struttura l’estetica”.

Lei disegna su carta o preferisce il digitale?
“Preferisco sempre la carta se devo vedere fissa un’immagine, anche se con il digitale abbiamo fatto incredibili passi avanti. Secondo me la carta ci sarà sempre in aggiunta alla digitalizzazione, come fossero complementari”. Lei ha disegnato macchine come la Golf o la Panda che hanno fatto la storia... Come si chiamerà il suo prossimo successo? “Quando lavori per una grande azienda subisci inevitabilmente le pressioni della Presidenza, della direzione generale, del marketing, ecc. Ora voglio lavorare a un prodotto senza più questi vincoli, altrimenti mi faccio un bel prototipo per i fatti miei”.
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