Salendo in sella il pilota si trovava a suo agio, anche se quelli più alti riscontravano qualche difficoltà ad inserire con comodità le gambe nelle nicchie del serbatoio. La posizione di guida era molto fuoristradistica, anche in piedi sulle pedane, col busto eretto e le braccia ben posizionate sul largo manubrio, le staffe erano poste alla giusta altezza e ricoperte da morbida gomma per non rovinare le calzature “civili”. La carenatura era ben studiata perché affrancava dalla pressione dell’aria (era stata disegnata con l’aiuto della galleria del vento) fino in prossimità della velocità massima. Nonostante il peso non fosse dei più contenuti, la AT si muoveva agilmente: oltre ad avere un ottimo controllo proprio grazie alla posizione ergonomica, un notevole contributo alla facilità della guida veniva dalla erogazione “dolce” del motore, specialmente muovendosi nel traffico della città. Una specie di antipasto di quello che avremmo poi riscontrato uscendo dal traffico: sterzo preciso e mai ballerino anche al massimo della velocità, stabilità paragonabile a moto tipicamente stradali pure sui curvoni autostradali, sospensioni che non temevano profonde oscillazioni dell’asfalto, il grosso disco anteriore davvero potente nella decelerazione e modulabile anche in condizioni di aderenza precaria. Dal nero asfalto al fuoristrada, dove gli pneumatici originali -non troppo tassellati- riuscivano a dare ancora una trazione decente. Sulla sabbia il peso diventava rilevante, in special modo sull’avantreno, ma per trarsi d’impaccio bastava un poco di tecnica di guida, ovvero affrontare questa situazione con determinazione, scalando un rapporto per mantenere il motore sempre in tiro, così da alleggerire la ruota anteriore, spostando pure il peso del corpo sulla posteriore. Di questo “trucco” ne abbiamo fatto buon uso sulle piste in Tunisia dove avevamo saggiato la Africa Twin nelle condizioni certamente meno favorevoli: dopo i primi momenti di apprendistato e qualche svarione di troppo (insomma, si cadeva, seppure a bassa velocità), la guida era diventata davvero divertente ed efficace. Ad aiutarci era pure la equilibrata erogazione del motore: i 52 CV rilevati dal nostro Centro Prove (solo mezzo CV in più rispetto a quanto avevamo riscontrato sulla Transalp e cinque in meno rispetto al dichiarato di Honda) si erano dimostrati di quelli “giusti”. Il vero lavoro delle sospensioni si rivelava, invece, su una pista più accidentata, dove alla sabbia si alternavano sassi e grandi buche: in queste condizioni forcella ed ammortizzatore si erano dimostrate ben tarate per digerire questo fuoristrada difficile; meno preparata invece la forcella che tampona prima previsto. Sul misto stretto il comportamento era legato oltre al peso ed alla “luce” a terra limitata anche dalle dimensioni certamente importanti di tutta la moto e dal serbatoio le cui svasature per le gambe impediscono un rapido spostamento del corpo verso I’avantreno, condizione che permette un miglior controllo della moto. Inoltre la paura di danneggiare con un semplice appoggio al terreno un serbatoio così bello, e sicuramente altrettanto costoso, certamente frenava gli entusiasmi e consigliava spazi più aperti e meno impegnativi.