Il sistema è complesso e macchinoso, ma sulla carta offre innumerevoli vantaggi: “Lo sterzo indiretto fa sterzare meglio la moto - spiega Martini nelle interviste - Da un punto di vista teorico la soluzione a parallelogramma articolato presenta solo dei vantaggi rispetto alla convenzionale forcella telescopica. Anzi, è una soluzione pensata per eliminare gli insormontabili problemi di fondo della forcella. Noi volevamo una moto che in curva, in frenata, in accelerazione, insomma in ogni possibile condizione di funzionamento, garantisse il mantenimento dei parametri fondamentali su cui si basa l’equilibrio del sistema moto più pilota: l’avancorsa e l’inclinazione dello sterzo. E con la Tesi l’abbiamo ottenuto”.
A completare un quadro innovativo c’è poi il telaio, formato da due gusci compositi in fibra di carbonio e honeycomb d’alluminio con rivestimento in Kevlar, uniti fra loro con una colla speciale di derivazione aeronautica, che abbracciano inferiormente il motore e collegano i forcelloni. Nella parte anteriore i due gusci sono vincolati fra loro per ospitare lo sterzo con le relative piastre e per fare anche da supporto al radiatore dell’acqua. Al posteriore un telaietto reggisella in tubi d’acciaio, fissato ai gusci in materiali compositi, regge il codone assieme a uno degli scarichi.
L’essere troppo innovativa si rivela però un’arma a doppio taglio per la Tesi, innanzitutto perché quando viene ipotizzata la sua imminente messa in produzione le vendite crollano definitivamente, dato che il resto della gamma appare desueto di fronte alla nuova arrivata e nessuno è più interessato a comprare una “vecchia” Bimota. “Se hanno costruito una moto del genere, chissà quali altre novità bollono in pentola. Tanto vale aspettare i nuovi modelli delle altre cilindrate mentre si iniziano a vendere le prime Tesi”, è l’opinione diffusa fra i motociclisti dei primi anni Ottanta. Peccato però che la Tesi 400 tradisca le aspettative e non venga costruito nemmeno un esemplare perché la Bimota è costretta a malincuore a fare marcia indietro abbandonando lo sviluppo per l’impossibilità di trovare la corretta messa a punto di un avantreno così complesso.
Subito dopo l’uscita di scena della 400 nasce però un secondo prototipo con motore Honda VF750F che la Bimota sviluppa nelle gare di Endurance con il collaudatore Maurizio Rossi e con Davide Tardozzi, senza raccogliere alcun risultato, anzi sollevando diverse perplessità circa la reale efficacia del sistema di sterzo indiretto a comando idraulico. “È necessario un periodo di messa a punto, da parte nostra, di tutto il sistema - si affretta a spiegare l’ingegner Martini - Questo cinematismo da un punto di vista teorico è la soluzione a tutti i problemi della vecchia forcella telescopica, ma questo non significa che, una volta stretto l’ultimo bullone della motocicletta si possa pretendere di mettere in moto e partire a tutta velocità sperando di avere una moto perfettamente a punto. Dopo il progetto e la costruzione esiste anche la sperimentazione. In fondo sulla forcella telescopica hanno lavorato per più di mezzo secolo per arrivare alla precisione e alla maneggevolezza di oggi!”. I
n realtà lo sterzo indiretto comandato idraulicamente sembra essere più un costoso e complicato esercizio tecnico che un effettivo vantaggio rispetto al comportamento di una tradizionale forcella teleidraulica, più economica e più facile da mettere a punto. Mentre il telaio in fibre composite è difficile da realizzare perché all’inizio degli anni Ottanta sono poche le aziende italiane che possiedono le conoscenze e la tecnologia necessarie per fare dei pezzi del genere e tutte sono impegnate quasi a tempo pieno con le scuderie di F1. A Rimini però proseguono per la loro strada: lo sterzo indiretto è il valore aggiunto della Tesi e il progetto continua ad essere sviluppato fino alla commercializzazione nel 1991 della Tesi 1D 851 a motore Ducati, firmata da Pierluigi Marconi, sacrificando però lungo la strada alcune soluzioni, come il telaio in materiali compositi - sostituito da piastre laterali in lega leggera ricavate dal pieno - e il comando idraulico dello sterzo - al suo posto ne viene montato uno meno complicato a comando meccanico - incompatibili con la produzione di serie. La 1D 851 e le varianti successive 1D 904 e 1D SR sono state costruite complessivamente in 291 esemplari in quattro anni. A questi si devono aggiungere 75 esemplari della 1D ES del 1993, anch’essa di Marconi, che chiude il primo ciclo della Tesi. Il secondo, quello della Tesi 3D del 2006 firmata da Enrico Borghesan, è stato ancora più effimero. Il terzo, avviato nel 2019 sotto l’ala protettrice di Kawasaki, è in pieno svolgimento.