SPORTIVA ALL'AMERICANA
SPORTIVA ALL'AMERICANA Hanno
ammazzato Buell, Buell è viva. Viva nelle (poche) moto che ne hanno seguito
la strada, quella dello sport all’americana: motorone ad aste e bilancieri,
coppia debordante, telaio come si deve. Da questa scuola tecnica sono nate
la Mustang e la Corvette, la AC Cobra e la Viper e poi le Buell motorizzate
H-D e la Yamaha MT-01 motorizzata Yamaha MT-01, che a dire la verità è
nata dall’altra parte del Pacifico; ma a nessuno viene in mente che una
moto che per esteso si chiama Monster Torque-1 sia davvero un parto della
cultura motociclistica giapponese, tutta pluricilindrici e alti regimi
di rotazione. La MT-01, però, è la dimostrazione che i giapponesi sono
ancora capaci di prendere un’idea e di darle una forma prodigiosamente
esatta. Anche quando si tratta di un oggetto al di fuori dalla loro cultura
come la MT, che dalla prima all’ultima vite è tanto inusuale – dalla
forma del serbatoio a quella dello scarico, dalle pedane per il passeggero
alla strumentazione – quanto poderosa, personale, affascinante. Yamaha
offre dunque la V-Max, un motore modernissimo su una ciclistica classica,
e il suo esatto opposto, la MT-01 (ora anche SP), che risponde alla domanda
di quelli che, sedotti dalla coppia ma non dalla guida delle cruiser, si
sono chiesti “Chissà come andrebbe con un telaio e delle sospensioni decenti”.
E la risposta è: bene. Sulla MT-01 il telaio e le sospensioni sono più
che decenti; sulla SP, che ha unità ammortizzanti Öhlins, addirittura ottimi.
Anche il motore non è proprio quello di una cruiser, ma la sua interpretazione
rivista e corretta per migliorare il rapporto tra CV erogati e kg da portarsi
a spasso. Come sulle sportive made in USA, appunto. Certo, rispetto a una
Buell la Yamaha ha meno pretese: è lunga, pesante e meno radicale nelle
quote ciclistiche; ma a livello di sensazioni, e di guida su strada, contiene
davvero tutto il meglio che uno si aspetterebbe da una delle figlie di
Erik. Il vero limite della Yamaha MT-01 è il prezzo, che sulla SP raggiunge
la ragguardevole cifra di 17.200 euro (comprensivi di 3 anni di garanzia
con formula YES) e ne fa un oggetto da amatori.
MOTORE E CICLISTICA: UN’ESPERIENZA NUOVA
MOTORE E CICLISTICA: UN’ESPERIENZA NUOVA Il ciclopico 1.700 cc ad
aste e bilancieri (il V di 48° della cruiser Warrior, completamente
rimaneggiato)
mette in soggezione anche il grosso motorino d’avviamento e con il suo
tremito scuote il pilota, il passeggero, l’asfalto e i veicoli circostanti.
La moto è alta quando ci si sale in sella. Il motore, lunghissimo, determina
una seduta lunga con manubrio lontano, che non si trova su nessun’altra
naked giapponese. A dispetto della lunghezza, per via dell’ingombro del
motore e dell’air-box il serbatoio contiene solo 15 litri; resta in compenso
piacevolmente stretto, come pure i fianchi e in generale tutta la parte
alta della moto (il basamento e il cambio sono invece più larghi). L’ascendenza
cruiser, nonostante il gran lavoro fatto a Iwata (20 kg in meno, di cui
2 sul solo albero motore) determina naturalmente la fisionomia così atipica
per una moto di questo genere. Un po’ per ragioni strutturali, essendo
alto, così stretto da obbligare a montare iniettori disassati e con l’enorme
cambio dai 5 rapporti lunghissimi; un po’ per ragioni “caratteriali”,
date le sue misure e soprattutto la corsa di 113 mm, lunghissima a fronte
di un alesaggio di 97 mm. Si tratta di un motore nato per girare tranquillo,
senza la schiena spaventosa di una V-Max o l’allungo prepotente di un
bicilindrico Ducati o Morini. Tuttavia, dopo la cura ricostituente, ha
guadagnato carattere; soprattutto, ha il pregio di non mettere mai in
difficoltà.
È delicato il freno motore (considerati i quasi 16 kgm di coppia), vigorosa
ma non imbarazzante la coppia ai bassi, specie se in uscita di curva si
ha l’accortezza di usare una marcia in più: per il twin di Iwata fa praticamente
lo stesso ma si guadagna qualche metro in rettilineo, dato che “allungo”
è una parola bandita dall’edizione MT del vocabolario di Iwata. Tutto
va fatto con un po’ di anticipo, come sulle sportive di una volta; la
Yamahona, in cambio, non si scompone, è fedele alla traiettoria e perdona
un rapporto sbagliato. Il motore spinge forte, non fortissimo, ma su strada
ce n’è d’avanzo e come dicevamo si scopre in fretta che questo abbinamento
tra motore all’americana e ciclistica all’europea funziona. La MT-01
SP è lontanissima dall’agilità di una naked convenzionale, ma sa divertire:
non obbliga il tachimetro a contorsioni folli per dare sensazioni al pilota,
invita a dare gas con prudenza perché la ruota posteriore è da supersportiva
ma la coppia è quella di un camion, e insomma rappresenta un’idea diversa
dello sport stradale. Su strada va bene, ovviamente non ci sono ritardi
tra rotazione della manopola destra e spinta alla ruota; quando si spinge
vibra un po’, ma in modo non fastidioso. Il cambio, nato per clonkeggiare
sulla Warrior, non è fulmineo negli innesti, ma abbastanza preciso. Grazie
alla grande confidenza trasmessa dall’avantreno, nel misto non è mai un
problema tenere il passo dei compagni più allegri della brigata, anche
seduti su moto dal rapporto CV/kg ben più favorevole; e difficilmente ci
si allontana dai 15 km/l, un consumo più che accettabile. I freni sono
veramente superlativi per potenza e modulabilità.