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QJ - Benelli: abbraccio mortale?

La Casa cinese, proprietaria del Marchio italiano, da questo mese commercializza in Italia la SRT, gemellina del fenomeno Benelli TRK: un'operazione apparentemente così illogica sembra il preludio di una separazione

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Pensiamo a quante aziende europee sono rimaste competitive, almeno nel breve e medio termine, grazie alla delocalizzazione. Già solo sfogliando questo numero di Motociclismo, si apprende che KTM fa decine di migliaia di moto all’anno lontano da Mattighofen e che le Triumph modern classic 400 sono il frutto della collaborazione con Bajaj. Non so però quante Case motociclistiche occidentali si siano anche domandate quali effetti potrebbe avere, nel lungo periodo, consegnare al Far East la propria storia, il proprio stile, il proprio nome, le proprie conoscenze tecniche.

Se una risposta c’è, oggi dalla Cina ne arriva una che suona come uno schiaffo all’Italia e alla sua moto più venduta, la TRK: il colosso cinese QJ, proprietario dal 2005 di circa il 70% delle quote Benelli, a fine giugno ha riversato nei nostri concessionari migliaia di SRT 700 e 800, facendo, di fatto, una spietata concorrenza… a se stessa! Per chi non lo sapesse, infatti, TRK e SRT sono esattamente la stessa moto. Prodotta nello stesso luogo e assemblata dalle stesse mani, come del resto prevede dal 2005 l’accordo vincolante fra QJ e la sua partecipata. Il fatto che i due modelli siano commercializzati con nomi diversi e differenze estetiche risibili fa sì che il copia/incolla sia una scelta spregiudicata che nulla ha a che vedere con il concetto di piattaforma industriale. Un esempio in questo senso virtuoso sono il telaio e il motore della Transalp e della V-Strom 800DE con cui Honda e Suzuki fanno anche la Hornet e la GSX-8S.

Ma torniamo a QJ e Benelli: la Casa madre si è mostrata matrigna verso la “Casa figlia”, e non solo i più pessimisti temono che stia programmando addirittura un figlicidio, considerate le modalità con cui si muove. Per prima cosa QJ ha cercato un importatore italiano bussando anche alla porta della qualificata Padana Ricambi, che già cura gli interessi in Italia di altri colossi cinesi come Voge e CFMoto. Poi, a sottolineare quanto fa sul serio, ha deciso di entrare da noi in modo diretto con la consociata Voltatec, rinunciando all’importatore che invece ha mantenuto in ogni altro Paese europeo. Dopodiché ha cercato accordi commerciali coi quasi duecento dealer Benelli, i quali, in presenza del palese conflitto di prodotti SRT - TRK, hanno quasi sempre declinato l’offerta. Ma QJ non ha fatto una piega e in quattro e quattr’otto, sfoderando risorse apparentemente illimitate, si è creata una rete capillare di dealer multimarca. Tutto legittimo, per carità, ma che bella spina nel fianco per la Casa di Pesaro!

Se distogliamo lo sguardo dal mercato domestico e lo puntiamo sul Motomondiale, ovvero una delle più importanti vetrine planetarie per le aziende di moto, l’atteggiamento dei cinesi non cambia. QJ Motor si è ben guardata dal sostenere Benelli a livello internazionale, attuando un’operazione magari simile a quella di Fantic in Moto2. Queste sono manovre che servono soprattutto quando i brand, come appunto Fantic e Benelli, non sono troppo forti oltre confine. Invece QJ, a completamento di questa strategia d’assalto, ha sfruttato ancora una volta competenze italiane, affidandosi al romagnolissimo team Gresini, per ottenere solo per sé la visibilità che le sta dando il sorprendente Filip Salac.

Che cosa ci insegna tutto questo è chiaro. I Marchi e i progetti che mettiamo nelle loro mani possono diventare il cavallo di Troia con cui, anni più tardi, sfondano sui nostri mercati coi loro brand, di cui peraltro sono orgogliosissimi! Basti vedere cosa è successo anche a due giganti come Samsung e Apple: hanno affidato ai cinesi la produzione dei componenti e nel giro di qualche anno si sono portati in casa un rivale tosto come Huawei. Tornando a noi e ai rischi che corriamo, se la storia di QJ non è un monito, cerchiamo almeno di ricordarci che in Cina ci sono venti aziende che superano la produzione di un milione di veicoli a due ruote all’anno, quando il più grande dei nostri gruppi, ovvero Pierer Mobility, di moto ne fa a malapena 300.000.

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