Parlando di Honda è inevitabile parlare anche di Yamaha. Le due Case sono in lotta serrata fin dagli anni 80, si alternano ai vertici del Mondiale e seguono due filosofie ben diverse. Per Honda conta soprattutto la potenza del motore, per Yamaha la guidabilità. Negli anni Sessanta, Honda correva con motori incredibili a 4 tempi che superavano i 20.000 giri: 50 cc bicilindrico, 125 cc a cinque cilindri, 250/350 cc a sei cilindri. Ma per la classe 500 reputava che una quattro cilindri da 90 CV bastasse e avanzasse per combattere la MV Agusta che, però, nel 1966 la spiazzò, battendola con una tre cilindri da 500 cc che erogava 15 CV in meno, ma era anche più leggera di 15 kg. In quel caso i problemi della Honda erano macroscopici: quella moto, di buono, aveva solo la velocità in rettilineo. Il motore si rompeva spesso e la ciclistica era pessima, per cui in curva la MV se ne andava. Honda imparò la lezione, ma ci mise del tempo a metterla in pratica perché tra il 1968 e il 1978 disertò il Mondiale, per protesta contro i regolamenti che erano diventati restrittivi. Quando tornò, nel '79, le moto erano tutte a due tempi, ma lei ebbe la pretesa di sfidarle con una 4 tempi complicatissima, una specie di otto cilindri travestita da quattro, che raggiungeva i 23.000 giri ed era vuota e scorbutica fino ai medi regimi. Il progetto si rivelò costosissimo e fallimentare: la moto non era competiviva e si rompeva sempre (prendeva addirittura fuoco), così alla Honda si arresero e si convertirono al ciclo a due tempi con la NS500 del 1982, una moto dalle caratteristiche opposte rispetto alla NR: infatti, come la MV Agusta del '66, era una tre cilindri, leggera e maneggevole... ma vincente. Era la classica moto che compensa la minore velocità in rettilineo con una velocità superiore di ingresso in curva e una maggiore facilità di gestione della potenza in uscita. Ma poi, dopo averci vinto il titolo nel 1983, la Casa giapponese sostituì la tre cilindri con una V4 dotata di serbatoio sotto al motore, espansioni sopra e cerchi in fibra di carbonio, potentissima e delicata. Clamorosa fu l'esplosione della ruota posteriore con il povero Freddie Spencer che finì a gambe all'aria, durante le prove del GP del Sudafrica del 1984. Ma poi, a partire dal 1985, la sfida tra Honda e Yamaha fu molto equilibrata. Rare sono state le annate in cui una di loro due ha “toppato” la moto. Ad esempio, nel 1987 la Honda era più molto potente della Yamaha ma si guidava molto bene, mentre la Yamaha grippava spesso. L'australiano Wayne Gardner vinse il titolo con sette vittorie, mentre il numero uno della Yamaha, Eddie Lawson, arrivò addirittura terzo. L'anno successivo la situazione si invertì: a rompere il motore era la Honda, mentre la Yamaha aveva risolto i problemi di affidabilità. Ma non fu un caso. Alla Honda avevano lavorato per rendere il motore ancora più potente e aggressivo, ma esagerarono, perché l'erogazione era troppo brutale e questo problema si andava a incrociare con la nuova distribuzione dei pesi che era stata spostata verso l'avantreno, per renderlo più preciso: risultato, era aumentata la tendenza a perdere aderenza con il retrotreno. Le derapate in uscita di curva, con le brutali due tempi prive di controllo di trazione, erano uno spettacolo che oggi è scomparso, ma la Honda del 1988 era davvero troppo difficile da gestire persino per uno come Gardner e il titolo, come da copione per gli anni pari, tornò alla Yamaha e a Lawson. Quest'ultimo aveva uno stile molto pulito, perfetto per la Yamaha, ma nel 1989 decise, a sorpresa, di passare alla Honda e dovette adattarsi a una moto molto più aggressiva, ma nettamente migliore rispetto a quella “sbagliata” del 1988. Inoltre Honda si impegnò molto a rendere la moto più idonea allo stile di guida di Lawson. Risultato: vinse ancora lui.