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Ducati Apollo: la quattro prima della quattro

La supersportiva Panigale non è stata la prima Ducati ad accettare un motore a V di quattro cilindri. È stata preceduta nel 1963 dalla Apollo 1260. Disegnata dall’ingegner Taglioni non è andata in produzione sostanzialmente per ragioni di costi. Dei due prototipi costruiti ne è rimasto uno solo, che è anche stato esposto al Museo Ducati. La genesi, l’evoluzione del progetto e le parole del suo progettista

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Con un motore più “grosso” di quello di una Harley, un massiccio telaio in spessi tubi, sovradimensionate gomme da 5,00 e cerchi da 16 pollici non poteva che essere abbondante e molto yankee. Queste le misure: lunghezza 2.320 mm, interasse 1.500 mm, altezza sella 760 mm. 

L’idea era quella di realizzare la moto più bella e potente che si fosse mai vista, che potesse essere la rivale diretta della Harley-Davidson. Se te lo chiede, e pure te la finanzia, il tuo potente importatore americano di New York che è in grado di vendere l’85% delle esportazioni – circa 5.000 moto l’anno- perché non farlo . Tenete conto che il massimo della cilindrata a Bologna e dintorni è una monocilindrica 350. Ma se ti chiami Ducati e in casa hai un fuoriclasse come l’ingegner Fabio Taglioni, te lo puoi permettere e accetti la sfida. Così dietro la spinta, e pure i soldi, di Joe Berliner, nasce la Apollo 1260. Già che ci siamo ci mettiamo un motore a quattro cilindri, magari a V longitudinale di 90°, insomma, ci portiamo avanti per il futuro che arriva nel 1971 sotto forma della GT 750, la prima maxi Ducati con un bicilindrico a V proprio di 90°.

Il nome della quattro cilindri era stato scelto dallo stesso Berliner, sicuramente influenzato dalle missioni della Nasa che hanno portato l’uomo sulla luna, c’è da considerare che il primo volo del programma Apollo risale al 1961 e l’ordine dagli USA è arrivato nel 1963. La richiesta di Berliner arriva dietro la necessità di fornire la Polizia americana una moto che sia alternativa alle storiche Harley-Davidson, operazione che è poi riuscita, allo stesso Berliner, quando ha avuto a disposizione la Moto Guzzi V7.

Il prototipo nasce in fretta, come leggete nei ricordi dell’ingegner Taglioni che trovate in questo stesso articolo, e arrivano i problemi sotto forma di pneumatici che non tengono lo stress della potenza seminando il panico tra i collaudatori. Ma anche il peso non scherza (dichiarati 270,5 kg) e la guidabilità non è il massimo. Ma questi sono problemi che sarebbero stati risolti senza troppe difficoltà, però l’evoluzione verso la produzione si blocca dietro a un prezzo annunciato in 1.500 dollari (circa un milione di lire), il doppio di una Harley-Davidson. Sfuma pure la fornitura alla Polizia e Ducati non se la sente di andare avanti da sola nel progetto Apollo. Insomma non siamo mica alla Nasa. Restano i prototipi, che a questo punto sono da Berliner. L’affascinante V4 color oro si perde di vista e non si conosce dove sia finito, ma il secondo del 1965, quello esposto allo Show di Daytona, dopo che Berliner finisce l’attività motociclistica nel 1983, raggiunge la via del Giappone e viene venduto al collezionista Hiroaki Iwashita per 17.000 dollari, l’equivalente di 10.540.000 lire. Il 40% in più di una Ducati 900 dello stesso anno.

La parola al progettista

Ed è proprio Fabio Taglioni, papa del desmo e di mitiche Ducati, che a suo tempo ha ricordato a Motociclismo la genesi della Apollo:

“Due, tre mesi al massimo è stato il tempo per tracciare il progetto. Avevo già disegnato questo tipo di motore come tesi di laurea. Poi era rimasto nel cassetto per quasi vent'anni. Ho impiegato un anno per metterlo insieme. Ho scelto lo schema a V longitudinale di 90 gradi perché abbassa il baricentro a beneficio della maneggevolezza. Inoltre, pensavo già di tagliare a metà il motore per ricavarne un bicilindrico. E poi con questo schema si riducono le vibrazioni senza rendere necessario il contralbero di equilibratura. Ho disegnato un albero monolitico con perni di manovella a 180° e bielle affiancate per ridurre la larghezza del motore e aumentare la rigidità mentre la conseguente disposizione dei cilindri ne avrebbe facilitato il raffreddamento, senza bisogno di ricorrere a quello a liquido e al necessario impianto. Ho messo la distribuzione ad aste e bilancieri al posto delle coppie coniche perché dovevo tenere d’occhio i costi. Per quanto riguarda la potenza le prestazioni volute da Berliner sono arrivate subito e così non ho dovuto ritoccare niente. Abbiamo visto al banco prova ·80 CV a 6.000 giri per la versione Turismo ed i 100 a 10.000 giri per quella Sport, valori rilevati all'albero. Confermo anche che gli pneumatici posteriori nelle prove su strada. Devo dire che il progetto è tramontato per questioni economiche. l'Apollo sarebbe stata troppo costosa anche per gli americani. Mi è spiaciuto vedere andare in fumo tutto quel lavoro ma soltanto... a metà, perché è da questa esperienza che poi ho fatto nascere il bicilindrico ad L”.

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