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Ducati Multistrada 1000 DS: scommessa vinta!

La Casa bolognese nel 2003 rompe gli schemi e lancia la sua prima crossover, la Multistrada 1000 DS, una moto più comoda dei modelli in gamma in quel momento. Il design è controverso, ma la filosofia puramente Ducati

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Ruote da 17”, sospensioni dalla corsa un po’ maggiorata e una ossatura rigida da sportiva vera: la Multistrada 1000 DS è un vero ibrido, che rispetto alla concorrenza del tempo punta molto di più sull’aspetto “smanettone”. Dietro alle sue forme particolari c’è la matita di Pierre Terblanche, designer sudafricano che resterà in casa Ducati per 17 anni, dal 1989 al 2006.

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.Oggi la Multistrada è la Ducati più venduta. Deve il suo successo alle proprie doti dinamiche da sportiva e da un livello di comfort cresciuto negli anni, paragonabile alla migliore delle tourer. In più, con l’arrivo dell’ultima generazione con propulsore V4 Granturismo da 1.158 cc e 170 CV, ha fatto un passo tale da rompere ogni legame con il passato. Pensare che son passati vent’anni da quando la Casa di Borgo Panigale svela la prima versione, la mamma di tutte le Multistrada, progetto fuori dagli schemi del tempo per l’azienda bolognese che, se da una parte non riuscirà a convincere come faranno le successive due generazioni (la V2 1260 e l’odierna V4), dall’altra le permette di entrare in un segmento, quello “ricco” delle crossover, che altrimenti le rimarrebbe precluso per chissà quanti anni.

Il divario filosofico con la concorrenza (Triumph Tiger 1050 e Yamaha TDM su tutte) è evidentissimo, quasi palpabile dalle immagini: la Multistrada 1000 DS del 2003 è più una motard anabolizzata che una crossover. Nonostante il livello di comfort sia superiore rispetto a quello offerto dal resto della gamma Ducati grazie al frontale sufficientemente protettivo (il cupolino è basso e schiacciato) ed alle gambe e braccia più distese, il carattere sportivo surclassa di gran lunga l’aspetto più tourer, visto che tra la sella dura, il telaio rigido e le sospensioni dalla taratura ben sostenuta, sulle buche si soffre anche in sella alla Multistrada. Che ai tempi tra i tubi del traliccio mette in mostra un gran classico come il bicilindrico a V (o meglio, a L) da 992 cc e 84 CV raffreddato ad aria, quello che tutti definiscono affettuosamente il “Pompone”, per le sue pistonate muscolari espresse ai medi regimi… e per la poca elasticità nelle marce alte (scalcia per bene, ai bassi).

Poi è stretta, anzi strettissima, di fianchi. E ha le manopole zigrinate come quelle da fuoristrada, una sella piuttosto alta, il manubrio largo come sulle naked e soprattutto posizionato piuttosto vicino alla seduta rispetto ad esempio alla Monster. E ancora, una strumentazione posizionata in alto e sotto al naso, specchi piccoli e di forma irregolare (la visibilità è limitata, ma in compenso proteggono le spalle dall’aria) e una porzione di sella solo discreta per il passeggero. Questa è la Multistrada 1000 DS targata 2003.

Ma non solo: ha una coppia che, come scrive l’autore della prova nel 2003, “messe due marce, porta via tutti i pensieri” e ancora “divertimento allo stato puro. Un elettrostimolatore appiccicato fisso al cuore”. Dietro alle sue forme “di rottura” c’è la firma del sudafricano Pierre Terblanche, che in quegli anni è a capo del centro stile Ducati. La sua matita ha prodotto esemplari esteticamente stilosi e al tempo stesso non facili da digerire, non solo per il popolo ducatista. Oltre la Multistrada, la sportiva 999, la serie delle SuperSport, la MH900 e le “sportclassic” GT e Paul Smart (meglio riuscite), sono moto che non fanno esattamente breccia nei cuori degli appassionati, anche perché così come non sono immediate stilisticamente, al contempo non lo sono nella guida.

E la Multistrada 1000 DS (così come la versione più sportiva S del 2005 e la successiva 1100 DS, arrivata nel 2007) non fa eccezione: il design “multipiano” sembra più un “accrocchio” di stili diversi (l’avantreno fin troppo automobilistico, molto più accattivante il retrotreno con i due “cannoni” di scarico che sbucano da sotto la sella), mentre tra le curve piace da morire oppure non convince per nulla per via di un avantreno che non sempre risulta comunicativo. Il rischio è che possa assomigliare troppo alla Yamaha TDM 850, la prima a lanciare lo stile da maxi motard stradalizzata.

E invece si dimostra subito una Ducati vera, intransigente nel suo voler essere non solo diversa nelle linee ma anche rigorosamente sportiva e, per questo motivo, destinata a un pubblico selezionato.

A differenza delle Multistrada di oggi, la 1000 DS non è per tutti, niente sedute mollaccione, niente volumi gonfi, ma un cuore da mille in un corpo agile e scattante tipico da media cilindrata. Una volta in sella stringi fianchi sottili da monocilindrica che incontrano un serbatoio compatto nelle forme eppure di fatto da passista, grazie ai 20 litri di benzina che furbescamente corrono sotto la sella (creando qualche problemino di pescaggio del carburante quando la moto non è in piano, segnalando la “riserva” troppo in fretta). Il cupolino è strano forte, non tanto per le forme morbide quanto perché solidale alla piastra di sterzo, una soluzione “stile naked” che non soltanto la differenzia dalla possibile concorrenza, ma le permette anche di girare in un fazzoletto grazie al fatto che il manubrio non interferisce con nulla quando è completamente sterzato. Insomma, come tutte le innovazioni di rottura con lo status quo, la Multistrada porta con sé un concetto che va digerito. E per farlo c’è un solo modo: guidarla.

Per lei Pirelli crea un pneumatico ad hoc (lo Scorpion Sync), una gomma prestazionale con un’aspetto vagamente tuttoterreno che oggi, dopo varie evoluzioni e un cambio di nome (Scorpion Trail), fa ancora parte del pacchetto della famiglia Multistrada. “Prima, seconda, e ci si ritrova impennati senza volerlo. Merito della gran coppia di questo mille, che spinge subito fortissimo”. Con poche parole il tester descrive nella prova dell’epoca il carattere del twin a L bolognese, di soli 84 CV ma con 8,5 kgm di muscoli a disposizione subito, con il picco massimo a 5.000 giri. E ancora: “Da 2.000 giri c’è un gran calcio anche se lineare; stessa cosa da 3.000 a 4.000, poi ancora forza passando dai 5.000 giri per iniziare a stemperarsi dopo i 6.000. Potenza massima a 8.000 giri. In sostanza, sotto spinge più di KTM (il V-twin da 942 cc del 2003 aveva 98 CV, ndr), in alto meno… E poi l’iniezione fa miracoli, perché si riprende da 2.000 senza strappi, ma tutta la curva è lineare e progressiva… si è scrollato di dosso la ‘rozzezza’ del vecchio twin pur mantenendone il carattere”.

Andando avanti con la prova, la Multistrada 1000 DS del 2003 si differenzia da altre Ducati per il cambio, rapido negli innesti e secco a prendere la marcia quando si guida veloci. Tanta coppia, tanta spinta, tanta trazione… e trasferimenti di carico che alla fine restano contenuti, tenuti a bada da sospensioni con una escursione maggiorata (ma non troppo) e allo stesso tempo con una taratura piuttosto rigida. Rispetto alle concorrenti del tempo, non dondola sugli avvallamenti, non galleggia sul veloce, ma resta precisa e piantata al suolo come su un binario. Come una sportiva vera. Di contro le sospensioni firmate Showa non spiccano per scorrevolezza, quindi le buche e le asperità improvvise si sentono, ma sempre meno di quello che si subisce in sella a una Monster, giusto per restare in casa Ducati. Questo non stupisce, visto che la Multistrada 1000 DS va a solcare strade nuove, diverse da tutte quelle finora intraprese dall’azienda bolognese ma senza rinnegare le origini, dove la sportività era - ed è tuttora - uno degli incipit fondamentali di tutte le Rosse di Borgo Panigale.

Nonostante anche il passeggero abbia a disposizione una sella piuttosto spaziosa e discretamente imbottita abbinata a pedane non troppo vicine, dal punto di vista del comfort non le si può chiedere troppo. La Multistrada è un animale da piega, specie se si utilizza uno stile di guida puramente... “motardistico”. Reattiva e precisa, soltanto esagerando con il ritmo fa sentire i suoi 200 kg (a vuoto), la scarsa modulabilità del freno posteriore - che frena poco o tanto, senza vie di mezzo - e la poca protezione del casco e delle spalle una volta superati i 160 km/h. Il resto è gioia pura data dall’erogazione possente del motore e dalla ciclistica che ti permette anche di sfruttare appieno il potente - e gestibile fin dentro la curva - doppio disco anteriore. Vibrazioni? Ce ne sono, un po’ come su tutte le Ducati, così come qualche “calcetto” ai bassi regimi nonostante la buona gestione elettronica della carburazione.

MOTORE 4T, bicilindrico a L di 90° da 992 cc, alesaggio per corsa 94x71,5 mm, rapporto di compressione: 10,0:1, raffreddato ad aria. Distribuzione desmodromica monoalbero a camme in testa con comando a cinghia laterale dentata, 2 valvole per cilindro, lubrificazione a carter umido. Potenza max 84 CV (62 kW) a 8.000 giri, coppia max 8,5 kgm (84 Nm) a 5.000 giri.

ACCENSIONE Elettronica con doppia candela (DS). Candele Champion RA6HC oppure NGK DCPR8E. Impianto elettrico: batteria 12V-8,6Ah. Avviamento elettrico.

ALIMENTAZIONE Iniezione elettronica Marelli, diametro dei corpi farfallati 45 mm; capacità serbatoio carburante 20 litri, riserva nd.

TRASMISSIONE Primaria a ingranaggi a denti dritti, rapporto 1,840; finale a catena, rapporto 2,800 (42/15).

FRIZIONE E CAMBIO Multidisco a secco con comando idraulico. Sei marce. Valore rapporti: 2,466 (37/15) in prima, 1,764 (30/17) in seconda, 1,350 (27/20) in terza, 1,090 (24/22) in quarta, 0,958 (23/24) in quinta, 0,857 (24/28) in sesta.

TELAIO Traliccio in tubi di acciaio; inclinazione cannotto di sterzo 24°, avancorsa 99 mm.

SOSPENSIONI Anteriore, forcella Showa a steli rovesciati da 43 mm completamente regolabile con escursione ruota da 165 mm; posteriore, forcellone oscillante con leveraggi progressivi e monoammortizzatore Showa tutto regolabile, con escursione ruota da 141 mm.

FRENI Anteriore a doppio disco flottante da 320 mm con pinza a 4 pistoncini e 2 pastiglie; posteriore a disco da 245 mm con pinza a 2 pistoncini e 2 pastiglie.

RUOTE Cerchi in lega leggera a 5 razze, anteriore 3,50x17”, posteriore 5,50x17”; pneumatici Pirelli Scorpion Sync, anteriore 120/70-17”, posteriore 180/55-17”.

DIMENSIONI (IN MM) E PESO Lunghezza 2.130, larghezza nd, altezza 1.286, interasse 1.450, altezza sella 850, peso a vuoto 200 kg. Altro che crossover o enduro: la Multistrada è una giostra a due ruote con cui sbizzarrirsi 1000S DS 1. Nel 2005 la famiglia Multistrada si allarga con l’arrivo della versione S, che si differenzia dalla standard per le sospensioni pluriregolabili firmate Öhlins e per alcune parti della carrozzeria in fibra di carbonio, a sottolineare l’aspetto più sportivo della moto. Insieme a lei arriva anche la versione entry level “620”: la caratterizzano il bicilindrico a L raffreddato ad aria (618 cc e 61 CV) e la ciclistica semplificata.

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